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Critiche

Suzanne Rouxel Civita, Urbino, 12 Luglio, 1984

PostDateIconDomenica 13 Gennaio 2008 13:22 | PDF | Stampa | E-mail

" [...]  Io sono sicura che La Macina andrà avanti, è una ruota che non si ferma, c'è in voi una passione antica, una rivendicazione sempre valida che si esprime sotto forma di un grido che si alza dai campi [...] con quel duende nell'aria che solleva l'anima degli uomini fino al Dio della raccolta e degli amori, il Dio vero [...] e che mi commuove profondamente [...]."

Suzanne Rouxel Civita, Urbino, 12 Luglio, 1984

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Maurizio Fiorini, Hotel Emilia, Portonovo,28 Giugno, 1998

PostDateIconSabato 12 Gennaio 2008 13:25 | PDF | Stampa | E-mail

"Ai messaggeri della Macina amici sempre".

Maurizio Fiorini, Hotel Emilia, Portonovo, 28 Giugno, 1998

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Massimo Raffaeli , Prefazione della brossura, "1968-1998-30 anni de La Macina" , 1998

PostDateIconVenerdì 11 Gennaio 2008 13:39 | PDF | Stampa | E-mail

Un compleanno

C’è un folclore museale e c’è invece un folclore attivo, per così dire militante, capace di collegare passato e presente, tramite uno choc o un cortocircuito che li rinnova vicendevolmente. Il lavoro de La Macina mira al presente ed in particolare a questo presente plastificato e perfettamente omologato, per aprirvi dei varchi, degli istanti di equilibrio e pienezza imprevedibile, traghettandoli a fatica coi suoini e le parole di una civiltà (quella rurarale a artigianale, della Marca chiusa e profonda) che altrimenti sembrerebbe persa per sempre.                               

Un paradosso, che però non è un paradosso, dà senso al percorso e lo orienta retrospettivamente: quando Gastone Pietrucci comincia a lavorare sul campo, anzi sul corpo fisico e acustico degli antichi canti della Vallesina, splendidamente coniugando filologia e pietas, sono gli anni in cui Pier Paolo Pasolini riconosce nei tratti della società affluente, neocapitalista e consumista, la morte e persino la cancellazione di una cultura millenaria ed internazionale: l’orizzonte delle piccole patrie rustiche, la civiltà degli aratri e delle pievi scandita dal ciclo delle stagioni, dalle umanissime ritualità della vita e della morte: E proprio sull’orlo di un nero dopo-storia Pisolini poteva scrivere versi come questi, nei modi di un testamento allora rivolto a nessuno:

Io sono una forza del Passato.                                                    Solo nella tradizione è il mio amore.                                             […] Mostruoso è chi è nato                                                                                                         dalle viscere di una donna morta                                                    E io, feto adulto, mi aggiro                                                            più moderno di ogni moderno                                                         a cercare fratelli che non sono più.

Come se non potessero più esistere, etimologicamente, dei testimoni. Gastone è invece uno di costoro con i suoi compagni de La Macina, avvicendatisi nei decenni ma sempre fedeli a un esempio, a una medesima lezione di rigore testuale e di vivezza esistenziale. Ciò che la corrusca profezia di paolini paventava in estinzione (tutta quanta una antropologia popolare, del pensare e del sentire dal basso) torna nelle loro partiture coi ritmi e gli impulsi di un corpo/psiche intatto o meglio non ancora vulnerato dalla scissione che oggi lo divide solo per ammutolirlo. L’opera de La Mcina è epica perché ritrova un’integrità dell’esperienza vitale, obliata o da tempo inaccessibile: essa non distingue mai, né vuole, gli appetiti del corpo dal fervore della mente, il dolore dalla gioia, l’alto dal basso; spiritualità e carnalità vi si danno come una cosa sola, come la stessa cosa, alla lettera.            Solo all’altezza di questa plenitudine sono vere e pronunciabili le parole basali della vita, i suoi elementi primi. Dunque l’acqua lustrale rampollata tanto tempo fa coi versi del poeta di casarsa sia finalmente d’augurio a Gastone, ai musicisti e ai molti estimatori de La Macina; che il suo sapore dolce, di struggente patina romanza, possa esserne il lungo viatico:

Fontana di aga tal me paìs.                                                            A no è aga pì frescia che tal me paìs.                                       Fontana di rustic amòur.

Massimo Raffaeli, dalla Prefazione della brossura 1968-1998 - 30 anni de La Macina,  13° Monsano Folk Festival, 1998, poi come presentazione nel CD La Macina, Silenzio, canta La Macina! (La Macina canta trent’anni della sua storia: 1968-1998), 050CD-W999, 1999]

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Luca ANGELUCCI , Diario , Anno VIII, n. 18, 9-15 Maggio 2003

PostDateIconGiovedì 10 Gennaio 2008 14:35 | PDF | Stampa | E-mail

FILASTROCCA ROCK

" Storie italiane di ieri e di oggi raccontate attraverso sonorità antiche che si fondono persino con la psichedelia. E' in uscita il nuovo album di Gang e Macina dedicato alla memoria., Nel tempo ed oltre, cantando.
"Nel nome della memoria, delle radici e delle ali. Tre facce di un sodalizio musicale, quello tra i Gang e La Macina, cioè il rock e il folk che sgorgano dalle colline marchigiane, abbattono i confini regionali e confluiscono in sala di registrazione, dove sta per nascere un disco a quattro mani [...]
[...] Se Gang significa fratelli Severini, Macina rimanda a Gastone Pietrucci. Sessant'anni, jesino, barba bianca ma una vitalità da ragazzino, ha dedicato oltre metà della vita alla canzone popolare e alla ricerca etnomusicale. Un artista-studioso [...] che solo da pochi anni può permettersi il "lusso" di lavorare da professionista. Gli altri musicisti del gruppo, tutti trentenni, rappresentano le nuove leve. La "prima" Macina, con chitarre, fisarmonica e cembali, si esibiva nella Valle dell'Esino trentacinque anni fa. Oggi ha all'attivo dieci album e tournée in Europa, Canada e Sudamerica. In repertorio, serenate, brani licenziosi [...], canti degli emigranti e delle filandare, le setaiole marchigiane della prima metà del Novecento. Il tutto condito da sonorità sempre raffinate.

Come si possono, però, conciliare chitarre elettriche che chiedono al "vento tristo" di portarsi via la nuova borghesia berlusconiana, con un mandolino che inneggia a Cristoforo Colombo, scopritore del Paese in cui cent'anni fa si andava in massa a lavorare? Con uno stratagemma. Che è poi l'idea vincente del progetto: arrangiando e cantando i testi degli altri. I Gang reinventano, suonano e cantano La Macina, e La Macina fa altrettanto. E così può accadere che la filastrocca Cioetta cioetta (la civetta) assuma i contorni di un pezzo rock dai toni psichedelici, o che Sesto San Giovanni, ballata dedicata agli operai della periferia milanese, si trasformi in una delicata serenata. Sul palco salgono tutti assieme, una decina, perfettamente amalgamati, alternando un brano a testa. I cori, a volte, fanno venire la pelle d'oca.
I due gruppi si "corteggiano" a vicenda da dieci anni, ma il "matrimonio" si è consumato solo da due.                        "Apprezziamo il lavoro di Pietrucci da tanto tempo", ammette Marino Severini, "e quando ci ha proposto di collaborare non ci siamo tirati indietro. Suonare con la Macina è un onore".        Parole sincere di uno che, due anni fa, a metà concerto, ha giurato: "Il mio sogno era di suonare con tre autori: Bob Dylan, Joe Strummer, leader dei Clash, e Gastone Pietrucci".
"E' una grande emozione
", dice Severini, "vedere che le nostre canzoni possono far parte, a pieno titolo, della tradizione popolare. Perchè è da lì, in fondo, che tutti noi proveniamo. E considero il rock stesso il linguaggio popolare del Novecento".
Gli fa eco Pietrucci: "Il rapporto con i Gang è travolgente. Uno scambio di sonorità e di emozioni che sta arricchendo e divertendo entrambi. Nel rispetto del messaggio, mai futile, che ci sta a cuore e che ha ispirato i brani del cd: la memoria..."
[... ] Certo, la memoria. E le doti divinatorie?. Nel loro concerto, compare anche un testo scritto nel 1995 dai Gang che sembra l'anticipazione del girontodismo. Il brano s'intitola Il palazzo di Babele e chiude così: "Gira, gira e fai la ruota, gira, gira girotondo, che a forza di girare faremo insieme un altro mondo". Nanni Moretti approverebbe".

Luca Angelucci, Diario, Anno VIII, n. 18, 9-15 Maggio, 2003

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Roberto G. Sacchi, Folk Bulletin, Anno X, N. 8 - Ottobre 1998

PostDateIconMercoledì 09 Gennaio 2008 17:56 | PDF | Stampa | E-mail

"JE SE VEDEA LE PORTE DELL'AFFANNO..."                                La Macina - Tradizionale / Marche                                                

" La Macina ha festeggiato il suo trentennale di attività con la realizzazione di un'edizione speciale del FolkFestival di Monsano [...] e con la pubblicazione di questo CD monotematico dedicato a canti satirici e licenziosi della cultura orale marchigiana. A premessa di questo lavoro discografico, una opportuna citazione ne riassume il senso (e ne sottolinea indirettamente l'importanza): "Peccato, davvero peccato, che la pruderie nazionale abbia impedito ai raccoglitori di canti, sia dell'altro secolo che di questo, di pubblicare la poesia popolare, diciamo così, scatologca: che è forse la più gran parte e la più autentica della poesia popolare; e non è mai oscena, tanta è l'allegria o la malinconia che le dà vita poetica, tanta è la naturalezza delle sue metafore..." (Pier Paolo Pasolini, "Canzoniere italiano", 1972). La proposta di un repertorio "nuovo", quindi, per le scene della tradizione nazionale, presente di certo in tante altre regioni ma qui nelle Marche finalemte ufficializzato da questa produzione discografica.

Monachelle vogliose, fraticelli assatanati, uccellini , uccelloni, porte dell'affanno e altre metafore più o meno a luce rossa scandiscono questa diveretente raccolta, nella quale la trascinante carica esressiva di Gastone Pietrucci e della sua "banda" si dimostra pienamente a suo agio. Pur divertendosi come forse non mai, il gruppo marchigiano non dimentica la serietà del proprio lavoro anche quando affronta temi licenziosi e musicalmente non troppo complessi come in questo caso: d'altra parte, La Macina ha alle spalle una storia di tale importanza [...] che non può permettersi di venire meno al proprio ruolo e, approfittando di un pretesto quale questo repertorio avrebbe potuto di fatto adombrare, consegnarci un dischetto leggero leggero, fatto solo per sollazzarci o - peggio - per solleticare qualche basso istinto e dare la stura a un filone porno del revival italiano. Anche se al centro dell'attenzione non sono gli occhi o i capelli delle dame o delle contadinelle o gli atti d'eroismo dei cavalieri e dei principi quanto piuttosto altre parti del corpo e altre prestazioni di tipo fisico, La Macina anche in questo settimo capitolo discografico ci regala qualcosa di importante, restando fedele a quelle tre caratterizzazioni che ben sintetizza Roberto Leydi nella presentazione: radicamento sul territorio, capacità di inglobare nel proprio manifestarsi - rispettandoli - cantori e musicisti della tradizione, essere protagonista e promotrice. di una concezione fortemente "viva" della tradizione, fatta di eventi rivitalizzati o recuperati.               Da sempre gruppo vocale per eccellenza, con l'iinesto di alcuni nuovi giovani musicisti [...] a fianco dei "vecchi" [...], La Macina ritrova nuovi stimoli e grinta anche da un punto di vista strumentale e si prepara ad affrontare in scioltezza anche il suo secondo trentennio di fortunata attività".                           

Roberto G. Sacchi, Folk Bulletin, AnnoX, N. 8- Ottobre 1998, dalla recenzione al CD, La Macina, Je se vedea le porte dell'affanno...",1998                                             

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