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Critiche

Roberto Leydi ( dalla prefazione al CD ‘ Je se vedea le porte dell’affanno…’ 1998

PostDateIconMartedì 18 Marzo 2008 18:02 | PDF | Stampa | E-mail

"Tra i numerosi gruppi che negli ultimi anni hanno cercato di animare il secondo "folk revival" (volendo continuare, per comodità, a usare questo termine che oggi mi appare piuttosto datato) italiano, pochi duraturi e molti effimeri, alcuni ansiosi di presenza nazionale (e magari internazionale) e altri fortementi ristretti ad un ambito locale, quello marchigiano della "Macina" occupa un posto a parte e (a mia conoscenza) unico. E ciò non tanto e soltanto per la longevità, quanto per altre caratteristiche. E tre sopra le altre.

In primo luogo il suo radicamento in un territorio, fisico e culturale, delimitato e preciso, cioè le Marche. Un radicamento che si realizza non soltanto nella scelta dello stile e del repertorio (procedimento che altri gruppi, ma non tutti, perseguono), ma anche nell'impegno ad operare attivamente, continuamente, direi (ed è, secondo me, un complimento) umilmente entro il proprio spazio culturale e umano, a contatto con quelle comunità cui la musica che La Macina propone appartiene. Certo il gruppo guidato da Gastone Pietrucci ha acquisito un rilievo e una stima che vanno oltre i confini marchigiani, ma questa proiezione nazionale e internazionale non ha preso il sopravvento sradicando La Macina dallo spazio entro il quale è nata e ha trovato ragione e materiale per realizzarsi musicalmente. In altre parole, il gruppo non ha rinunciato a misurarsi e a confrontarsi con un "pubblico" che, almeno in gran parte, ancora ben ricorda e, in misura non comune ad altre regioni italiane, tuttora "usa" una parte almeno dei suoi modi tradizionali di esprimersi.

E questa "vacazione locale" ci propone la seconda caratteristica del lavoro della Macina: inglobare nel proprio manifestarsi, rispettandoli, cantori e musicisti della tradizione. Porsi, cioè, a confronto con quanti alla tradizione appartengono e la possiedono. E ciò a differenza di altri gruppi che, anche quando citano la fonte delle loro esecuzioni, per attestarne l' "autenticità" non ci consentono mai di sentire il suono o la voce di questi testimoni resi muti.

Vi è poi la terza caratteristica della Macina, connessa alle altre due: essersi fatta promotrice di vive iniziative nelle quali i protagonisti sono i cantori e musicisti tradizionali e di manifestazioni che hanno concretamente contribuito a rivitalizzare, in contesti non impropri, scadenze rituali che così hanno trovato ragione di conservarsi nonostante le trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno modificato la vita delle Marche.

Questo ci piaceva ricordare in occasione della pubblicazione di un nuovo disco nel quale trovano spazio canzoni satiriche, licenziose che, pur essendo numerose e vive nella nostra tradizione popolare hanno trovato scarsissimo posto nelle ricerche del passato, così condizionate dal moralismo borghese e neppur hanno avuto una specifica attenzione dalle ricerche contemporanee."

Roberto Leydi, dalla prefazione al CD de La Macina, Je se vedea le porte dell'affanno..., 1998

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Giovanna Marini ( dalla prefazione al disco ‘ Io me ne voio andà pel mondo sperso…’ 1984; 14 Maggio 1994

PostDateIconLunedì 17 Marzo 2008 19:41 | PDF | Stampa | E-mail

Marini-Pietrucci

Giovanna Marini e Gastone Pietrucci,  Recanati 2002

"Il grande pregio del Gruppo La Macina è che non ha mai perso il gusto del canto. E “gusto del canto”, non vuol dire solo divertirsi a cantare. Vuol dire far divertire chi ascolta, e questo è veramente un merito. E’ vero che le due cose sono legate, ma va fatta una distinzione. Il canto “Pipiccinterra maestro della terra” per esempio divertirebbe comunque, perché ha parole e forma di racconto divertenti, ma la “Ninna-nanna del venerdì santo” non è in sé un canto che fa ridere. E’ bellissimo il modo con cui viene cantato e suonato.

I cantori del Gruppo di canto popolare La Macina sembrano avere conservato tutti gli stilemi autentici ed antichi del canto popolare, ma senza sforzo, è questo il pregio. Non si sente lo sforzo dell’isolare l’inciso tipico e rivalorizzarlo, è come se da sempre avessero conosciuto la tradizione. E quindi nel loro ricantare la tradizione c’è il gusto senza la preoccupazione, ogni nota viene approcciata come si usa da secoli e come ora non si fa più. Il cantore gioca con la nota lasciandola intendere, sfiorandola poi colpendola al centro poi abbandonandola con microtoni discendenti, il tutto con il vero gusto del canto, un gusto tale che non è possibile che questi rari cantori abbiano “studiato” tutto ciò, altrimenti affiorerebbero preoccupazione, sforzo, compiacimento, tutte cose che per fortuna nel loro cantare non ci sono.Si sente solo un gran gusto, un gran piacere, ed una gran maestria nell’arte del canto popolare. Come l’avevano i vecchi, ma questi cantori vecchi non sono, e nemmeno isolati nella campagna. Mi risulta anzi che lavorino tutti ad impieghi vari, cittadini, statali, e che non frequentino più la campagna altro che per compiere la loro ricerca. E allora come si compie il miracolo? Non so, certo è che hanno un amore per questa forma di canto, che supera ogni preoccupazione etnomusicologica, e l’assorbimento per via affettiva è sempre il migliore. Ancora più strano è il fatto che portatori di tanto amore per il canto popolare, per un così delicato sentimento, è proprio il caso di dirlo, verso le note (le canzoni vengono trattate come oggetti preziosissimi e questo commuove), anche verso l’accompagnamento strumentale sempre così giusto, discreto, siano uomini. Non è che gli uomini non siano capaci di sentimenti delicati, ma spesso gli uomini di questa nostra civiltà molto conformistica, preferiscono difendersi con tecniche, piuttosto che cantare così indifesi preferiscono suonare uno strumento: è molto bello invece questo totale abbandono dei cantori del Gruppo di canto popolare La Macina. Forse in questo darsi completamente, senza riserve, alla melodiosità del canto, alla musicalità istintiva, al conservare uno stile che hanno ritrovato innato in se stessi e che riproducono con tanta facilità e allo stesso tempo con tanto rigore (ma rigore non ostentato) sta il miracolo che rende questo gruppo uno dei più vitali ed accattivanti di oggi."

 

Giovanna Marini, dalla prefazione al disco, La Macina, Io me ne vojo andà' pel mondo sperso..., 1984

 

                                               *  *  *

 

[...] le voci sono magnifiche (come sempre) le riproposte discrete e attente a salvare la diversità di questi modi rispetto alle altre musiche.                                                                                 Avete un ritmo e un'energia straodinari [...]

Giovanna Marini, Roma, 14 Maggio, 1994

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Guido FESTINESE , "L’aedo marchigiano", Worldmusic , Marzo-Aprile 2003, Anno XIII, n: 59

PostDateIconDomenica 16 Marzo 2008 19:52 | PDF | Stampa | E-mail

"Passano gli anni (ora sono più di trenta) e La Macina, la creatura sonora voluta da Gastone Pietrucci perchè tornassero a vivere le creature sonore fragili e disperse della cultura popolare marchigiana, sembra dar tono ulteriore ed oltranza di senso al nome: una macina, appunto, che riporta a farina preziosa della comunicazione da tutti fruibile i frutti raccolti e stipati. Pietrucci "è" La Macina, che sempre più si caratterizza come una sorta di ensemble aperto e minimale, dove conta sì la coesione del tutto, il grumo dispiegato di forza espressiva, ma dove si staglia in primissimo piano la voce "scura e torturata" del leader, per dirla con le splendide parole di Massimo Raffaeli. Mai s'è sentita la voce di Pietrucci così arrochita e convincente, un binomio di ancestralità e inflessioni dell'oggi che ha pochi confronti, adesso, nel Bel Paese.

Questo disco non è solo il capo d'opera di un maestro della cultura popolare che ha deciso di non avere alcun pudore a confrontarsi con la contemporaneità: è l'inizio di un nuovo viaggio. Un viaggio che, quando apparirà il secondo volume di Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto sarà, tutto assieme, il tirar le somme complessive dell'esperienza di una vita. Questa raccolta si apre e si chiude nel segno femminile, e poi scorrono le "pagine" ritrovate del Nigra, le ballate, le passioni popolari, le invettive e le dolcezze estenuate: tutti brani che abbiamo nella memoria carsica del "nostro" folk , qui come scarnificati e riportati ad uno scheletro di pura essenzialità vibrante, ad un viluppo di nervi scoperti che avvicina il passato, lo fa diventare dolorosa e necessaria cruna d'ago dell'oggi. E gioverà dire allora che qui la logica dell'"ospite" (e che ospiti!) è l'esatto contrario di un tronfio peana: Riccardo Tesi e il suo organetto fatato, le chitarre elettriche e le voci di Marino e Sandro Severini della Gang, Rossana Casale e Giovanna Marini sono tutti, in fondo, "aedi malinconici ed ardenti".

 

Guido Festinese, L'aedo marchigiano, Worldmusic, Anno XIII, N. 59, Marzo-Aprile, 2003

 

*** DISCO SEGNALATO DA WORLD MUSIC CON IL BOLLINO TOP CD WORLD MUSIC 2002

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MONI OVADIA, dalla prefazione al cd, "Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto" (Vol. II), 2006; 1995

PostDateIconSabato 15 Marzo 2008 20:09 | PDF | Stampa | E-mail

 

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Moni Ovadia e Gastone Pietrucci, Recanati, 2005

 

"Gastone ed io

Il nostro primo incontro è legato ad un evento unico e singolare, un viaggio musicale che riuniva quasi trenta dei migliori interpreti legati alla musica tradizionale provenienti da varie regioni italiane. Io avevo curato la mise en espace di quel caleidoscopio espressivo con il titolo di “Transitalia”. Lo avevo fatto accogliendo un suggerimento di Roberto Leydi, collegando i vari contributi con il filo rosso dell’emigrazione, tratto comune a tutte le genti d’Italia. Gastone con il gruppo La Macina, fondato da lui, rappresentava le Marche anche se in quell’occasione i confini regionali si stemperavano nel canto. Gastone prestava la sua voce anche nel brano “Pan Pentito” in un duetto con Dodi Moscati, straordinaria interprete e ricercatrice della canzone toscana, sempre disponibile anche a scorribande in altre culture. Dodi ci ha lasciati qualche anno fa e senza di lei siamo più soli. Avere la possibilità di cantare “Pan Pentito” con Gastone, unire la mia voce alla sua, è un po’ risentire con noi l’energia di Dodi.

La voce di Gastone è tutt’uno con lui. Quando li incontri è per la vita. Per me, che sono un modesto ma assiduo e tenace viaggiatore nei territori del canto, la grana dei suoni che escono dalla gola di Gastone, i graffi della sua emissione che scavano solchi nelle parole come granelli di una sabbia antica sollevata da un vento caldo, sono come i suoni delle sirene che tentarono Ulisse, mi ammaliano, mi attirano fino a farmi confondere la mia voce con la sua. Gastone è uno di quei personaggi di cui sei tentato di dire che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo e non è retorica del luogo comune, per me almeno. La prova è che ho accettato la sua versione italiana di una canzone yiddish, un’intollerabile “blasfemia” alle mie orecchie. Ma una “bestemmia” di Gastone Pietrucci, ha in sé il tratto di una grazia che viene da lontano".

Moni Ovadia, Milano 28 febbraio 2006, dalla prefazione al cd: Gastone Pietrucci-La Macina, "Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto" (Vol. II), Storie di Note/ SDN054, 2006

 *** DISCO RACCOMANDATO DA FOLK BULLETIN CON IL BOLLINO FBis!, 2006

 

 

"A Gastone e alla Macina che è con me sulle radici"           Moni Ovadia, Milano, 1995

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Federico GUGLIEMI, il MUCCHIO , n. 569, 9-15 Marzo 2004, recenzione a MACINA-GANG, "Nel tempo ed oltre, cantando"

PostDateIconVenerdì 14 Marzo 2008 02:21 | PDF | Stampa | E-mail

"Di questo disco si parlava da un sacco, addirittura anni. Lo si pensava infatti (quasi) imminente all'inizio del 2001, quando nel cd allegato al primo Mucchio Extra trovò posto una medleydal vivo di Iside e Cecilia, qui riproposti in altre versioni. Ma in casi come questi, si sa, il tempo ha un'importanza relativa, specie se poi si rivela galantuomo e ripaga la lunga attesa con risultati speciali.
E' uno splendido incontro, Nel tempo ed oltre, cantando (il titolo deriva da una poesia di Alfonso Gatto), tra due band diverse per vicende musicali ma accomunate dalla capacità non solo dalle origini marchigiane ma anche e soprattutto dalla capacità e dal desiderio di percorrere - ciascuna alla sua maniera - le vie della tradizione: tradizioni prettamente folcloriche per la Macina, oltre vent'anni di carriera discografica vissuta fuori dai giri ufficiali ma fieramente dentro la propria cultura, e rock per il combo di Marino e Sandro Severini, la cui coerenza non è stata soffocata dal muoversi da un tempo altrettanto lungo all'interno di un circuito più esposto.

L'incrocio fra le due realtà avviene così sul terreno comune di una canzone ruspante e ribelle, che non ha timore di denunciare le troppe nefandezze passate e presenti e di chiamare a raccolta gli spiriti antagonisti ma che sa anche parlare con un linguaggio intensamente poetico; una canzone autentica e un linguaggio intensamente poetico; una canzone autentica e sanguigna come tutto ciò che nasce dalle radici, interpretata con sapiente equilibrio fra strutture in prevalenza acustiche ma aperte ad azzeccate, seppur mai esagerate, incursioni elettriche; una canzone che attinge sia dal repertorio della Macina - composto da brani appartenenti al patrimonio popolare delle Marche, riesumati dall'oblio e opportunamente riarrangiati - e sia da quello autografo dei Gang, le cui matrici folk vengono fatte emergere in modo ancor più evidente.
In un'ora di sonorità vivaci e suggestive, rese ancor più attraenti dagli scambi vocali - già, perchè più o meno ognuno esegue i pezzi dell'altro - e dei duetti tra Gastone Pietrucci e Marino Severini, sfilano dunque inni come Le radici e le ali, Kowalsky, La pianura dei sette fratelli, Iside, Sesto San Giovanni
ed Eurialo e Niso alternati a episodi magari ignoti al pubblico del rock italiano ma assolutamente non antitetici con quelli dei Severini, nonostante l'uso del dialetto e il linguaggio poetico per forza di cose meno elaborato (ma almeno Stavo in bottega che lavoravo e Ceciliapotrebbero tranquillamente essere firmati Severini, tanto sono vicine al mondo espressivo dei Gang. Quanto basta e avanza per fare di Nel tempo ed oltre, cantando un brillante progetto etnomusicologico, una straordinaria antologia di storie e un ricco serbatoio di emozioni profonde."

Federico GUGLIELMI, Il Mucchio, n. 569, 9-15 Marzo 2004

(recenzione al CD: Macina-Gang, Nel tempo ed oltre, cantando)

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Altri articoli...
  • Massimo Raffaeli (dalla prefazione al CD: Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto (Vol.I), 2002
  • Roberto G. SACCHI , FB-Folk Bulletin , Marzo 2003, Anno XV, numero 2
  • MICHELE L. STRANIERO, TV Sorrisi e Canzoni, n. 47 -22/28 .XI. 1981; dalla prefazione al disco, "Vene il sabado e vene il venere…", 1982;Avvenire, 1985; La Stampa, 16.V.1987;Giornale della Musica, n. 105.V.1995
  • Francesco SCARABICCHI Il Messaggero 20 Agosto 2001; 25 Novembre 2002

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