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Critiche

Roberto RONCA ,Pescara, 16 luglio, 2005

PostDateIconLunedì 03 Dicembre 2007 18:11 | PDF | Stampa | E-mail

"Un gran bel concerto quello di ieri sera a Pedaso (MACINA-AMBARADAN-GANG-SCARABICCHI- "L'espressione di un volto per caso". OMAGGIO A LUIGI TENCO), un progetto molto ben riuscito, emozionante, quasi da ascoltare ad occhi chiusi. E' la seconda volta che assisto ad un vostro concerto, l'altro fu l'anno scorso a Castel di Ieri dove con i GANG presentevate "NEL TEMPO ED OLTRE CANTANDO", altro concertone memorabile
... quelle canzoni (di Tenco) rivestite dai vostri suoni, sono bellissime. Complimenti a tutti e alla prossima".

Roberto Ronca, Pescara, Sabato 16 Luglio, 2005

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Luciana ZANETTI , Jesi, Teatro "Pergolesi", 22 Aprile 2006

PostDateIconDomenica 02 Dicembre 2007 18:20 | PDF | Stampa | E-mail

A GASTONE E GIORGIO
GRAZIE!

Sulle restituite radici donate la possibilità di costruire un futuro migliore.
Che il tempo possa far buon uso del vostro impegno
della vostra passione
della coscienza stimolata.

Luciana ZANETTI, Jesi, Teatro "Pergolesi", 22 Aprile 2006

 

(in occasione della presentazione del CD, Gastone Pietrucci-La Macina, Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto, Vol. II)

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Daniele CROTTI , Folk Bulletin, Anno XVII, N. 226, Novembre 2006

PostDateIconSabato 01 Dicembre 2007 18:31 | PDF | Stampa | E-mail

12 agosto 2006, Monsano Folk Festival, Concerto di Chiusura LA MACINA "STORICA“ , VENE IL SABADO E VENE IL VENERE… 1982 – 2006”.

 

Macina-storica 1982

La Macina "storica" , 1982 (da sinistra:                           Piergiorgio Parasecoli, Claudio Ospici                                           Gastone Pietrucci, Giuseppe Ospici)

 

"Caro Gastone, che dire? La Macina “storica” incontra o si ricorda alla Macina “attuale”? Giuseppe, Piergiorgio, Claudio e Adriano, Marco, Roberto, Michele; con Gastone, prima ed ora. La “Grande Macina”? O semplicemente la Macina , nella sua evoluzione nel tempo pur conservando, uniti e vitali, il passato il presente ed il futuro? Non sono giornalista (tranquillo, Gastone), non sono un conoscitore di musica, né tanto meno posso essere un critico. Sono solamente un appassionato di questi canti, di questa musica, tradizionali, popolari. Perché? Chissà. I motivi sono forse tanti (ascoltate Gastone o gli altri, nel cantato, nel recitato e nel presentato, e lo capirete). Uno è questo, come scriveva il Marcoaldi, contemporaneo del Nigra: “Avvertasi che quando per me si dice canzoni popolari intendo soltanto i canti che sono cosa propria del popolo, e non quelli che quantunque ripetuti da esso, giunsero a lui, e furono opera di rettorici, o per lo meno di gente a cui l’arte di scrivere e leggere non era ignota”.

Insomma mi piace, perché rappresenta e al contempo vive e fa rivivere un mondo che si trasforma, ma è stato è e sarà, al cospetto delle inevitabili evoluzioni anche musicali che accompagnano nel bene come nel male (ahinoi forse più nel male) questa nostra società, il nostro ovvero parte essenziale delle nostre radici, e pensate sia poco?
E allora, da solo, parto da Perugia per raggiungere Monsano per poi tornare a Jesi perché il maltempo ha costretto a “internare” l’ultimo spettacolo del “Monsano Folk Festival " ventunesima, dico ventunesima, edizione (e nota bene: Rassegna internazionale ed itinerante di Musica Popolare originale e di revival). Certo, il tragitto non è lungo, anche se il tempo minaccioso poteva impigrirmi più del solito. Ma avevo questo presentimento, fors’anche paura: di perdere uno spettacolo importante, di perdere un momento di forte interpretazione e partecipazione musicale, di perdere emozioni esaltanti cui io stesso potevo essere non semplice e passivo ascoltatore, di perdere attimi di gioia nell’accompagnare nel canto e quindi di “vivere la vita” (certo, un pezzettino di questa non facile esistenza, tra lotte, guerre, temporali umani, eccetera eccetera). Ero nel giusto. E così ho applaudito, tanto, come non mai, credo. Ho applaudito, abbiamo tutti, tanti applaudito nel piccolo ex teatro San Floriano (ora dedicato a Valeria Moriconi), applaudito, cantato, ammirato e vissuto quanto i “meno giovani” e i “più giovani” ci hanno regalato. Avrei voluto semplicemente gridare con contenuta emozione: grazie!
Ho scoperto personaggi veri che non avevo mai conosciuto dal vivo, ho riapprezzato i più delicati virtuosismi (è corretto il termine?) dei suonatori di oggi, l’afflato tra i precedenti e gli attuali, la continuità del messaggio, la bellezza, la gradevolezza, la pienezza di una serata davvero piacevole. Non ho acquistato i CD che Gastone insisteva simpaticamente nel vendere, perché già in mio possesso, ma ho preso il libricino della serata che conserverò ma forse anche senza leggerlo tutto perché non serve. Essere stato presente è di per sé un documento che ti resta, dentro, e dice tutto quello che potresti leggere, con la preziosità che è una cosa ancor più tua, e che in ogni caso non potrò non raccontare alle persone a me più vicine, per amplificare questa piccola intensa gioia. Se sono stato prolisso e retorico, io, questa volta, perdonatemi e perdonatemelo. Non lo farò più, promesso.                                                                   Ma, ripeto, siete stati tutti bravi,bravissimi, eccezionali, belli!"

 Daniele CROTTI, Perugia, 13 Agosto 2006 e poi in Folk Bulletin, Anno XVII, N. 226, Novembre 2006)

La Macina storica (I)

La Macina "storica", 2006 (da sinistra:                             Claudio Ospici, Giuseppe Ospici,                                              Gastone Pietrucci, Piergiorgio Parasecoli)

Commenti (1)
 

Marcello CENTONZE , Lequile (Lecce), 19 Agosto 2006

PostDateIconVenerdì 30 Novembre 2007 18:35 | PDF | Stampa | E-mail

"Carissimo Gastone, è con grande piacere e onore che ti scrivo per "ringaziarti" dei doni che ci offri e mi riferisco all'ultimo lavoro "Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto 2"
ma anche al primo e "Nel tempo ed oltre cantando" sono semplicemente dei capolavori. Grazie! Come stai notando sono un fan de La Macina, dei Gang e altri che come te sanno regalarci della buona musica e credo che ce ne sia proprio bisogno[...] "

Marcello Centonze, Lequile (Lecce), 19 Agosto, 2006

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Alessandro FALCETTA , recenzione dello spettacolo di Macina & Teatro di Ricerca ‘ Sperimentale A’, "Piange piange Maria povera donna…", Bologna, 14 Dicembre 2006

PostDateIconGiovedì 29 Novembre 2007 18:50 | PDF | Stampa | E-mail

[...] Poi è andata in scena una sacra rappresentazione su coloro che dei conflitti sono le solite vittime: un uomo del popolo, Gesù, e sua madre che ne piange la morte, Maria.
"Piange piange Maria povera donna"è una creazione teatrale moderna che organizza materiali tradizionali di canto e prosa del centro Italia. Lo spettacolo nacque nel 2000 dall'incontro tra il gruppo marchigiano di ricerca e canto popolare "La Macina"
di Gastone Pietrucci e il maceratese "Sperimentale Teatro A"di Allì Caracciolo, ambedue impegnati da decenni a raccogliere e promuovere canti e racconti della tradizione orale marchigiana. Il loro lavoro è distinto da una raffinata ricerca storica e filologica condotta in larga misura sul campo, nel senso letterale di campagna, che quei materiali ha elaborato e trasmesso per secoli prima che il disastro culturale del secondo dopoguerra, detto altresì miracolo economico, polverizzasse l'identità di milioni di italiani.
E' necessario menzionare gli interpreti e gli artefici di questa sacra rappresentazione [...]: Maria Novella Gobbi
(Maria, coro; assistente alla regia), Maurizio Agasucci
(Gesù, Giuseppe, Giovanni, coro; costumi), Gastone Pietrucci
(aedo, cantore, coro; ricerca e direzione musicale), Marco Gigli, Roberto Picchio, Adriano Taborro (musici e coro, tutti e tre membri de "La Macina"), Giorgio Sposetti (ricerca per lasezione teatro), Giorgio Cellinese(organizzazione tecnica), Allì Caracciolo (luci e regia).

La rappresentazione è composta di nove scene che seguono le tappe principali della storia di Maria e che terminano con un Salve Regina di speranza dopo la morte di Gesù. L'inizio e la fine sono incorniciati dalle parole del cantore/aedo, la figura che veicola la tradizione e che garantisce l'unità del tutto. Lungo le scene si avvicendano canti di questua, canti extraprocessionali e passioni il cui protagonista e prevalentemente la Madonna. Gobbi ha impersonato una madre straziata, afflitta e impotente davanti alle torure e alla morte inflitte al figlio. La sua voce era pianto, lamento e grida. L'interpretazione di Agasucci è stata intensa e versatile, dando carne a Gesù, corpo a Giuseppe e Giovanni e perfino sostituendo il cembalo in un saltarello. Chi non fosse stato allo spettacolo, vada a vedere il Compianto sul Cristo morto a S. Maria della Vita: Agasucci sembrava il San Giovanni. Pietrucci , l'aedo, ha guidato la rappresentazione con la sua voce potente, trascinante e con una presenza evocativa. Ai musici è andato il merito di creare l'atmosfera dei gruppi che giravano la campagna in occasioni come l'epifania, detta pasquella, e di sostenere la rappresentazione con un'esecuzione emotivamente carica. Le luci hanno riempito la scena, in pratica tutta la sala Bolognini, di suggestione. I costumi erano di un'antichità fuori del tempo.
La fisicità del dolore è stato il tema dominante e ossessivo dello spettacolo. Il dolore era nella musica, nelle parole, nei costumi, nella recitazione. Esso ha assunto anche le forme del crocifisso elettrificato di Abu Ghraib, al quale Agasucci ha fatto disinvoltamente riferimento. E' chiaro che non tutti i materiali della rappresentazione erano tradizionali. I riferimenti moderni sono anch'essi parte della tradizione in quanto questa è sempre vissuta di contaminazioni, che oggi sono tanto più necessarie se si vuole evitare di museizzare il tradito. Due aggiornamenti ulteriori sono stati un estratto da un poema di Yitzchak Katzenelson (1943) sullo sterminio degli ebrei dell'est e un canto yiddish di A. Sutskevere-A. Broda. I due canti hanno svolto il ruolo di bilanciare i tradizionali riferimenti antisemiti ai "giudei" dei testi precedenti e di produrre innumerevoli effetti di senso per mezzo dell'accostamento tra passione, olocausto e civiltà ebraica.
"Piange piange Maria povera donna" è una rappresentazione che non solo colpisce per la messa in scena, ma che anche stimola la riflessione. Per parte mia ho reagito sotto due vesti, del marchigiano e dello studioso di letteratura cristiana antica. Al di là del piacere di riconoscere cadenze e frasi idiomatiche che al pubblico bolognese possono suonare estranee, cè la meditazione sul senso di questa musica e di questi canti. [...]   La vita che ha prodotto i canti di "Piange piange Maria povera donna" era dura e molti contadini, inclusi i miei nonni, non vedevano comprensibilmente l'ora di abbandonarla. Forse è inevitabile la perdita delle tradizioni che a quella vita erano legate, ma i figli e i nipoti di quei contadini ora abbracciano modi e stili che dovrebbero essere non meno estranei. Gli intellettuali cosa facevano e cosa fanno nel frattempo?
Dal punto di vista del contenuto storico, le tradizioni popolari su Maria e su Gesù combinano episodi dei vangeli canonici, di quelli apocrifi, tradizioni liturgiche e invenzioni di sana pianta. Evidentemente il popolo sulla storia di Maria e di Gesù non apporta nulla di nuovo, salvo, forse, l'essenziale. La Maria generalmente divulgata è una creatura piena di grazia, più dea che donna. Nei canti della sacra rappresentazione Maria è invece piena di umanità. Come scrive Gastone Pietrucci in riferimento allo spettacolo, Maria viene rappresntata "come da secoli l'ha vista e cantata il popolo: non la Regina dei Cieli, ma una tenera, spaesata, angosciata madre terrena". Inserendo un "soltanto" dopo "non", Pietrucci coglie nel segno. Lo stesso vale per Gesù. La riflessione teologica ha fatto della sua morte un evento unico, irripetibile e difficile da afferrare.
In "Piange piange Maria povera donna" la carne di Gesù, plasticamente rappresentata da Agasucci, è protagonista: la sua è la morte ingiusta e violenta di un uomo e di un figlio. L'unicità della morte di Gesù, a ben vedere, sta qui. La passione di Gesù è il buio nero e primordiale dell'umanità, che tutti affrontiamo in forme e gradi diversi. La passione presenta non solo l'incubo della morte, ma della morte prematura, per giunta violenta, come se non bastasse preceduta da torture e segnata da terribile dolore fisico, con il sovrappiù dell'ignominia della croce, dello sconforto di essere abbandonato dagli amici e di essere assassinato da poteri che proclamano di uccidere per il bene comune. I contadini, avvezzi alla miseria, alla fatica e all'ingiustizia, hanno individuato nel dolore della carne di Gesù e nella disperazione di Maria l'unicità della passione. Essi hanno anche riscattato la passione dalla beffa finale, quella di essere prevalentemente appropriata dai discendenti di coloro che hanno ucciso Gesù.
"Piange piange Maria povera donna" riesce a produrre un universo simbolico che non solo conserva l'eredità della comprensione popolare delle figure di Maria e di Gesù, ma che anche dialoga con il presente e lo sfida.                                  Questa rappresentazione rimette in gioco forze culturali e sentimenti in via d'estinzione e indica una via per uscire dal buio del cuore e della ragione. Le tradizioni popolari, tuttavia, sono tali se sono appunto tradite. Hanno bisogno di voce, di volti, di mani, di tempo. [...]"

Alessandro Falcetta, Bologna, 14 Dicembre, 2006
(recenzione allo spettacolo "Piange piange Maria povera donna..." tenuto a Bologna nella Sala Bolognini, Ottobre 2006)

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