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Critiche

Marco G. LA VIOLA ,Appunti di viaggio,Aprile 2003

PostDateIconGiovedì 06 Marzo 2008 01:14 | PDF | Stampa | E-mail

"[...] Non capita spesso che un album riesca a colpire ed amozionare come Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto, il nuovo disco di Gastone Pietrucci e La Macina [...].         

Da sempre Gastone Pietrucci ci ha abituato a cambiamenti nella sua musica. Non svolte o rivoluzioni, quanto piuttosto una continua evoluzione nel modo di arrangiare e interpretare il patrimonio culturale di una regione che è al centro di influssi diversi. E nel tempo si è accresciuta la sua capacità di cercare e trovare nuove sonorità, che non dimenticano mai la tradizione, ma si arricchiscono di apporti di artisti che appartengono anche ad altri ambiti musicali, come dimostra questo Aedo malinconico..., compatto nella struttura quanto vario nel repertorio e nei temi toccati nelle 14 canzoni in esso contenute.
Al centro di tutto la sua voce: una voce particolare, dalla coloritura scura, vibrante e inconfondibile, capace di comunicare tutte le emozioni e i sentimenti che una canzone può contenere, e che - viene di dire per renderne il senso a chi ancora non la conosce - fa sì che Gastone Pietrucci sia il Tom Waits della canzone tradizionale italiana.
Oltre al particolare timbro della voce ciò che poi colpisce di Pietrucci è l'interpretazione: da una parte mantiene alle canzoni tutti il loro carattere popolare, nel contempo riversa in esse tutta la propria sensibilità, le proprie esperienze, il proprio essere uomo di oggi, quasi trasformando il materiale tradizionale in canzone d'autore...
[...] Assolutamente da citare tutti i co-protagonisti di questo splendido disco, a cominciare dagli attuali membri de La Macina, e cioè Marco Gigli (chitarra, cembalo, voce), Michele Lelli
(percussioni, batteria, voce), Roberto Picchio (fisarmonica),
Adriano Taborro (chitarra, mandolino, voce), con l'indispensabile apporto organizzativo di Giorgio Cellinese.
Altissimo il livello degli ospiti: Giovanna Marini [... ] Riccardo Tesi [...],i due fratelli Marino e Sandro Severini, cioè la parte sostanziale di The Gang [...]. Ed ancora... Antonio Felicioli al flauto e Costantino e Diego Ravarelli (rispettivamente alle nacchere e al cembalo). Infine Rossana Casale [... ].                                       [...] Aedo malinconico [...] riporta in copertina la dicitura volume 1. E' infatti già in preparazione da parte di Pietrucci un secondo Aedo [... ]. Anche questa ci pare una scelta estremamente saggia: lo scandire in due momenti diversi un'operazione culturale così profondamente meditata, evita scelte affrettate, consente di limare fino quasi alla perfezione i singoli brani, non preclude ulteriori evoluzioni.
[...]Tra i migliori album italiani degli ultimi anni!".

Marco G. La Viola, Appunti di viaggio, Aprile, 2003

 

*** DISCO SEGNALATO DA WORLD MUSIC CON IL BOLLINO TOP CD WORLD MUSIC 2002

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Guido FESTINESE ,23 Febbraio, 2004; il Manifesto , giovedì 4 Marzo 2004; World Musis Magazine,n. 66, Maggio-Giugno, 2004

PostDateIconMercoledì 05 Marzo 2008 01:25 | PDF | Stampa | E-mail

Per quanto mi riguarda, Macina-Gang, Nel tempo ed oltre, cantando è "il" disco italiano del 2004...                                Guido FESTINESE, Genova, 23 Febbraio, 2004

 

GUERRIGLIERI FOLK-ROCK IN AZIONE
"[...] Al Festival di Mantova oggi sarà presentato Nel tempo ed oltre, cantando, splendida collaborazione fra il gruppo folk marchigiano La Macina ed il gruppo veterano in Italia del combat rock, i Gang dei Fratelli Severini.                                                  

Il tutto era successo, in epitome, sul palco del marchigiano Festival Folk di Monsano nel 2000: un annusarsi reciproco, un capire, passo dopo passo, nota dopo nota, che la distanza è minima fra chi lavora al recupero del canzoniere di un'Italia contadina e protoindustriale di fatica che non c'è più o quasi, e chi cerca di cantare un'Italia dell'oggi dove la fatica è nascosta, ma è sempre la medesima (magari cambia il colore della pelle), e il grido in musica è rock nudo e crudo.
Da una parte La Macina, uno dei gruppi cardine del folk revival italiano: che significa opera di tessitura, di memoria, di rapporti sul territorio, produzioni discografiche incessanti nei decenni, sino a ricostruire una mappa possibile degli "alberi di canto" che abitavano nel cuore d'Italia.
Dai canti di filanda al canto "a vatocco", straordinario ed espressionistico urlo di furore e di gioia, dalle ballate narrative ai canti di scherno che il tempo avrebbe poi disperso.
Dall'altra parte i Gang, creatura dei fratelli Severini, uno dei pochi gruppi rock che nella Penisola possano andare a testa alta, combat rock affilato come un rasoio e dolce come un racconto sul punto di svanire: esattamente come i brani raccolti da Gastone Pietrucci della Macina.
S'erano incontrati, avevano capito che il percorso del rock d'autore fatto di storie vere (senza "revisionismi nascosti") e il percorso della canzone d'autore sarebbero potute diventare due facce della stessa medaglia. C'era stato anche qualche prodromo: ad esempio la presenza dei fratelli Severini in Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto, un capo d'opera del folk italiano ad opera di Pietrucci: a ciglio asciutto, senza una sbavatura.
Adesso la scommessa più difficile, e più bella: La Macina e i Gang assieme, a scambiarsi i repertori.
Gli uni offrono brani che non hanno tempo, e chiedono alla Gang elettricità bruciante, gli altri il loro canzoniere di eroi che hanno "le radici e le ali", e che non avrebbero voluto essere tali, come i fratelli Cervi, come i partigiani, come Eurialo e Niso in una ballata di straordinaria intensità.
Tutto assieme è Nel tempo ed oltre, cantando, un bel titolo preso a prestito da un verso del poeta Alfonso Gatto: un cd (ed. Storie di Note) che, se ci saranno orecchie attente, potrebbe bissare lo straordinario exploit del "fischio del vapore" dell'accoppiata De Gregori-Marini, a restituire dignità ai canzonieri lasciati all'oblio comodo ai potenti di turno. Ci sono musiche che non si lasciano descrivere a parole: hanno bisogno di contatto, di esplodere in quell'evidenza di forza che nessun progetto a tavolino può fornire. Così è in questo disco, quasi interamente registrato in "presa diretta" al Teatro Alfieri di Montemarciano, dove le filastrocche popolari prendono code urticanti di chitarre elettriche, dove l'antica ballata Cecilia (tramandata da buona parte dei ricercatori di fine Ottocento) diventa una sorta di "rock delle radici". Ed il contrario.
Perchè Kowalsky dei Gang sembra un inno di resistenza scritto un sessantennio fa, e qui suona come un'autentica "canzone popolare". Così come Sesto San Giovanni dei Gang, con lo strazio amaro della voce di Pietrucci, e un gioco di specchi doppio, perchè l'arpeggio iniziale non può non rammentare Right between the eyes di Crosby, Stills, Nash & Young. Vengono in mente i gruppi migliori del rock indipendente dell'altra parte dell'Oceano, a cominciare dalla Willard Grant Conspiracy. Ma qui è tutta roba nostra: di ieri, ed invece è oggi, di oggi, costruito su una sequenza di ieri che il tempo e i contrabbandieri della storia vorrebbero portarci via".

Guido Festinese, il Manifesto, 4 Marzo, 2004

 

"Ricorderete senz'altro un disco di un paio di anni fa di Gastone Pietrucci, per una volta non accreditato a tutta La Macina, la splendida creatura musicale che lavora sulla tradizione nelle Marche: Aedo Malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto, un lavoro che, crediamo, abbia un posto riservato e speciale nella "discoteca dell'anima" delle cose che non si devono dimenticare. Lì c'era stata la prova generale della collaborazione fra la Macina e i Gang - in realtà anticipata da un annusarsi reciproco sui palcoscenici, senza trucchi e senza rete. Due esempi di fierezza messi assieme, una "colla della memoria" e due reagenti che assieme sprigionano forza e tenerezza. Adesso il connubio Macina e Gang è realtà a tutti gli effetti. Con un disco che prende le mosse ancora una volta dalle parole di un poeta, Alfonso Gatto, e che centra sin dal titolo l'obbiettivo: perchè la tradizione, per dirla con Confucio, non è vegliare sulle ceneri, ma saper coltivare le scintille e tenere acceso il fuoco. Qui troverete un incendio elettrico che comincia con un altro titolo profetico, Le radici e le ali, un incendio che è la forza nuda e poetica di un possibile canzoniere popolare costruito con le schegge della tradizione orale e gli spezzoni brucianti del combat rock militante. Mordono le chitarre con guizzante, saggio vigore, morde la voce antica ed essenziale di Pietrucci a dominare un flusso di idee, storie, percorsi individuali e collettivi lontani dall'oblio."

Guido Festinese, World Music Magazine, n. 66, Maggio-Giugno, 2004

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Ciro DE ROSA ,WorldMusic Magazine , Anno XVI, Novembre-Dicembre 2006, N. 81

PostDateIconMartedì 04 Marzo 2008 01:51 | PDF | Stampa | E-mail

GASTONE PIETRUCCI-LA MACINA
Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto
- Volume II, Storie di Note 2006 /distr. Suonomusic

"Il canto nudo di forme antiche e popolari con qualche prezioso rivestimento. Il secondo atto dei tre annunciati per Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto reca in copertina un bel disegno di Enzo Cucchi.                                          Gastone Pietrucci, incomparabile e tenace custode della memoria e rinvigoritore del mondo orale, recupera ballate del repertorio popolare marchigiano e si concede due deviazioni, inserendo in scaletta un canto toscano e addirittura una canzone yiddish riadattata in italiano.                                                                  La voce bruna e profonda del cantore jesino si riappropria di pagine alte della cultura orale d'Italia, rese con linguaggio e disposizione oggi più prossimi alla poesia e alla canzone d'autore, affiancato nel suo magnifico e necessario lavoro da amici straordinari come Giovanna Marini, Moni Ovadia, Gang, Federico Mondelci, Fabio Verdini, Allì Caracciolo".

 

*** DISCO RACCOMANDATO DA FOLK BULLETIN CON IL BOLLINO FBis!, 2006

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Maurizio Martinotti, Hi, Folks!, n 22 , 1987

PostDateIconLunedì 03 Marzo 2008 01:55 | PostAuthorIconScritto da Gastone Pietrucci | PDF | Stampa | E-mail

"[...]  questo rigoroso gruppo marchigiano [...] merita  soprattutto di essere ascoltato in concerto per la vitalità e la grinta di cui è capace: chi ritiene che riproposta rigorosa e pedanteria debbano per forza di cose marciare di pari passo scoprirà l'eccezione alla regola.                                                   La forza de La Macina sta, anche, beninteso, nelle sue prove su vinile, nella passionalità e nel calore che il gruppo sa  trasmettere .                                                                                  E nell'impeto delle voci,  a tratti anche lacerate e roche, nella assoluta fede in ciò che sta facendo, nel piacere di comunicare e dialogare col pubblico, trasmettendogli il ricchissimo bagaglio di canti raccolti in tanti anni di lavoro di ricerca, sta il segreto di questa ormai veterana formazione: perchè a ben guardare gli arrangiamenti strumentali sono estremamente limpidi e scarni e neppure gli impasti vocali indulgono ad alcuno sperimentalismo o ricerca.                                                                                                     Eppure il suono che esce è fresco ed accattivante,               una musica cantata e suonata con il cuore [...]"  

Maurizio Martinotti, Hi,Folhs!, n. 22, 1987

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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 30 Giugno 2010 22:45)

 

Francesco SCARABICCHI, dalla prefazione al CD, "Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto" (Vol. I), 2002

PostDateIconDomenica 02 Marzo 2008 11:57 | PDF | Stampa | E-mail

Commedia

La bella, ‘l bon vecchio, Ninetta, la povera Cecilia, ‘na bella fata/ co’ li capelli sciolti e l’occhi neri, la monachella, la guerriera, la Fija del paesà, il Brigante Pietro Masi detto Bellente, Maria sotto la croce, la ninnananna di “Bovi bovi”, la mamma, il convento, la tonaca nera, gli emigranti, le filandare, i figli. Il mondo che emerge, a brano a brano, dalle serenate, dai canti, dalle ballate arcaiche, dai frammenti, dalle nenie da culla, dalle strofe è palesamente quanto di più desueto e lontano da questa contemporaneità che non contempla affatto un teatro del genere, sorta di presepiale museo che annovera, ancora, sentimenti come l’amore, il dolore, la pena, la gelosia, la rabbia, l’ira, la vendetta, il godimento, la sofferenza, la paura, l’onore, la dignità, il tradimento, lo struggimento; che pronuncia il pianto e il riso, che parla della guerra, della fame, del freddo, dello sfruttamento, dello spavento.

Il presente che ascolta la voce di Gastone Pietrucci, insieme con quelle di Rossana Casale, di Giovanna Marini e di Marino Severini, è oltre l’anacronismo del repertorio, quinta di storie disperse e solo di nuovo raccontate dalla pervicace convinzione che vuole, ancora, l’universo mondo segnato dalle stesse tare d’esistenza che attraversavano e ferivano creature appartenute ad ogni ieri del tempo e della storia, ai secoli vicini, da poco scivolati oltre la curva delle epoche e di cui restano l’odore e il suono che solo i profondi, caldi e rauchi fondali di tonalità intense e di marcati caratteri del canto contengono e tramandano fino alla nostra distrazione incurabile, così aggredita da musiche e motivi davvero senza età perché impossibili al senso, alla misura, al gusto e alla bellezza spesso toccata dalla grazia o dallo strazio.                             Felicemente, orgogliosamente, decorosamente, umilmente non contemporanea, l’opera di Gastone Pietrucci e de La Macina, a toni cupi, ad ombre, a chiaro e a luce, nel taglio radente che si fa aspro, sensuale e lirico, sceglie con fierezza la vita così com’è stata, così com’è, come sarà ad ogni ora di adesso e del futuro, quel tanto di immutabile nel grembo dell’umano che fa identica l’ansia di un adolescente shakespeareano a quella di un coetaneo del terzo millennio, malattia d’amore, attesa, brividi e timori che arrossano le guance e accelerano il cuore. Lo stesso vale per le guerre e per i soldati, “il cibo del potere” dei “brillanti reggimenti”, secondo il Barry Lyndon di William M.Thackeray nella versione filmica di Stanley Kubrick (1975) in cui, in una frazione di minuti, si coglie la sequenza sanguinosa della storia dentro i fili invisibili delle esistenze che appaiono e scompaiono allo stesso modo in cui scendono verso il niente le figure, i personaggi, le comparse dei canti rivolti al e provenienti dal XVIII e XIX secolo, popolo e figli del mondo, tra l’esercito di napoleone, Scarpia, Floria Tosca, fanciulle da marito o da convento, l’impercettibile “senso” che strama e strugge (“[ …‌] se posso crescere come ‘l tempo vola/ ci ho quindici anni ancora dormo sola”, Il mare è torbido l’acqua è turchina), la consolazione (“[ …] je dissi cosa piangi(ramo de fiori rrose d’amor/ je dissi cosa piangi/ o ragazzina// io piangio pe’ ‘l mio amore/ramo de fiori rrose d’amor/ io piangio pe’’l mio amore/ ch’è andato in guera””, Ramo de fiori rrose d’amor), la disperata rabbia come un riscatto in quel “merica ‘merica ‘merica” reiterato al pari d’una bestemmia in Benediciamo a Cristoforo Colombo (pensiamola, nell’ascolto, sotto la terribile luce di questi anni di “pace terrificante”, secondo l’accezione del De André de La domenica delle salme, nelle migrazioni per le ragioni di sempre – paura, bisogno, fame, povertà, oppressione, distruzione, deportazione -, nell’odore acre della polvere da sparo delle guerre esportate e delle nubi globali delle due torri di settembre). Passione e pietà, ferita e memoria, strada da cui proviene la dolcezza mormorata di un amore o la fatica di vivere, quel “mestiere” del male che, dal Duecento dell’”umile Italia” di Francesco, salendo fino a noi, prosegue come un dovuto seguito per chi è stato, a confermare la vocazione per la ciltà della tradizione e per la tradizione di ciò che, nonostante la cosmetica barbarie, insiste nella sua civiltà che approssima più che può il prima al qui e ora dei viventi.         La Macina lavora assiduamente al che e al come della sua opera che traccia un cammino dentro l’anima del canto popolare delle Marche favorendo altri insostituibili apporti che alimentano e nutrono lo spirito assoluto della ricerca e il repertorio di voci, pronunce, suoni, racconti. E’ sempre più la sua ora, confermata non da nostalgie o da sguardi all’indietro per il conforto dell’immutabile paesaggio dell’anima, per l’infanzia perduta, per le parole sepolte, i dialetti, i sapori, il clima d’un sogno dissolto, l’innocenza, i nomi lontani, il padre, la madre, la vita rurale; nulla di tutto ciò rende vivo e vitale il patrimonio di musica e parole che si attualizza proprio per contrasto, per opposizione all’insensatezza di un’idea del vivere privato e sociale sconfitta da se stessa, dalla sua precarietà volgare, dalla sue economica arroganza, dalla sua esasperata “visibilità” e dalla lingua della comunicazione che annulla, consumandolo, l’essere quotidiano là dove l’abuso del sostantivo mito e del suo aggettivo negano ciò che affermano e per fortuna preservano quel che si tace e conserva la sua leggendaria, favolosa, simbolica antichità proprio perché giovane e quindi classico, come il sangue che, goccia a goccia, scende dalla croce cristiana attraverso il lamento e il pianto della voce lacerata e colma di pena di Gastone Pietrucci che perpetua l’icona tragica dell’uomo e del suo sacrificio che non ha fine. Nel segno forte ed arreso della sua arte, La Macina si fa stazione e viaggio di se stessa e continua l’andare del mondo nella virtù del canto, nella sua rigorosa, intransigente verità che tramanda l’ironia e il gioco, la malizia e la semplicità, l’amore, la morte, il tormento, la fatica, il divino, il plebeo, l’osceno, il corpo, le stagioni, i mesi, la cosmogonia e la fiaba dell’unica commedia che ci contiene tutti.

Francesco Scarabicchi, Ancona, 7 Ottobre, 2002

(dalla prefazione al CD, Gastone Pietrucci-La Macina, Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto,Vol. I, 2002)

 

*** DISCO SEGNALATO DA WORLD MUSIC CON IL BOLLINO TOP CD WORLD MUSIC 2002

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