• Home
  • Il Gruppo
  • Discografia
  • Contatti
  • Home articoli
  • Il Gruppo
  • Discografia
  • Contatti
  • Critiche
  • Eventi
  • Proposte
  • Archivio articoli
  • 25^ Monsano Folk Festival 2010

  

Ultime notizie
  • LA MACINA.NEL VIVO DI UNA LUNGA STORIA, cd-book, 2016
  • Guido Festinese Per Gastone e La Macina
  • MARIA ROSA MILANI - PAOLA ANSELMI COSTARELLI- ELIANA ANSELMI DUGGENTO PER "POPULAR SYMPHONY"
  • Gino e Gianni FERRO per Gastone Pietrucci
  • TESI DI LAUREA DI PAOLA RICCI SU LA MACINA
I più letti
  • C' ERA UNA VOLTA CATERINA NERINA BAFFINA DE ' LA PIMPIRIMPINA... / LA MACINA, 1986
  • MACINA-GANG, "NEL TEMPO ED OLTRE CANTANDO"
  • Roberto G. Sacchi, Folk Bulletin, Anno X, N. 8 - Ottobre 1998
  • ANTOLOGIA DELLA MUSICA POPOLARE ITALIANA - MARCHE, 2002
  • JE SE VEDEA LE PORTE DELL'AFFANNO... / LA MACINA, 1998
Chi è online
 42 visitatori online
Login



  • Password dimenticata?
  • Nome utente dimenticato?
  • Registrati
Home Critiche

Critiche

Massimo RAFFAELI ,“World Music”, n.51, Novembre-Dicembre, 2001

PostDateIconDomenica 28 Ottobre 2007 16:23 | PDF | Stampa | E-mail

Residenza e musica

 

[...] Al centro ideale della topografia, e alla stregua del fenomeno musicalmente più rilevante, La Macina, gruppo fondato a Monsano nel 1968 da Gastone Pietrucci (che tuttora ne è voce e leader) il cuio archetipo etnomusicale si custodisce nel volume, firmato da Pietrucci stesso, Cultura popolare marchigiana-Canti e testi tradizionali raccolti nella Vallesina (Centro Studi Jesini, 1985), un’opera che per imponenza e rigore editoriale commemora la classica raccolta del Nigra, riassumendo un corpus di oltre seicento testi divisi per aree linguistiche, dai canti di lavoro a quelli rituali di questua, dalle filastrocche agli stornelli, dalle preghiere ai motti licenziosi, alle ballate [...]

" Le Marche sono state a lungo l’incarnazione della loro etimologia, cioè una terra di confine, una provincia, da cui gli intellettuali e gli artisti evadevano (a nord, verso Bologna e Milano o, più fatalmente, a sud, verso Roma) nelle forme di una vera e propria diaspora. Chi rimaneva amministrava una piccola eredità municipalistica, oppure assumeva maschere cosmopolite di seconda mano, così denunciando una disarmante subalternità. Erano la terra di Mondaldo Leopardi, chiusa e un poco bigotta, non quella di Giacomo, il transfuga che infatti le apostrofava nei termini del natìo borgo selvaggio. L’assenza di istituzioni pubbliche, la mancanza di giornali, la sostanziale latitanza dei pochi centri accademici, hanno alimentato per oltre un secolo l’emigrazione e l’esilio interno. Basterebbe l’esempio degli scrittori che se ne sono andati tutti, da bartolini a Volponi (un suo romanzo si intitola La strada per Roma…), da Matacotta a Ferretti e Di Ruscio: per costoro, le Marche erano appena un punto di avvio e potevano al massimo restare un mito scenografico (la cerchia delle colline, le siepi, i fiumi che scendono a pettine), un ambiguo paese dell’anima consacrato dalle icone secolari di Raffaello e Pergolesi, Rossigni e Gaspare Spuntini.                                                                                    Alla fine degli anni Settanta, cioè all’altezza dell’ultima rivoluzione tecnologica, quasi per cortocircuito, il quadro dei riferimenti storici e geografici è mutato di colpo, e totalmente,. Le nozioni di Centro e Periferia, Città e Provincia, sono venute meno fino ad identificarsi, la nozione astratta di altrove (e con essa la spinta all’evasione) si è tradotta nel qui, nella vocazione a risiedere, a scoprire e amare il proprio spazio-tempo, liberandolo sia dall’alibi folclorico sia dalle griffe di importazione. Il più grande poeta nato nella regione dopo Leopardi, Franco Scataglini, parlò di residenza, tracciando una poetica ma nello stesso tempo avanzando una domanda ineludibile: “Io ho cercato di mettere come si suol dire a punto la premonizione che portavo in me dell’idea di residenza, e che mi viene da un passo di Adorno in cui esplicitamente si parla di intellettuale residenziale in relazione al rapporto di Kant con la sua piccola Konigsberg prefigurante, come in una miniatura, il sogno della conciliazione. […] Dove vivi ogni giorno e ciò di cui vivi che costituisce con il tuo corpo la tua identità profonda: un luogo alienato, si capisce, come tutti i luoghi della terra, senonché l’alienazione è dell’uomo e, nei luoghi, anche i più desolati, c’è sempre un’ombra di beatitudine immemore”. Senza un simile atto di consapevolezza e di responsabilità radicale, non si spiegherebbero né la qualità né la quantità stessa delle intraprese artistiche e culturali che (insieme con un modello economico-produttivo poi divenuto poroverbiale) hanno caratterizzato la regione negli ultimi vent’anni, fino a configurarla come un caso nazionale. Retrospettivamente tale fioritura realizza la forma orizzontale e di continuo dislocata della rete, e basterebbe l’elenco delle riviste letterarie, degli scrittori: Umberto piersanti, Gianni D’Elia, Marco ferri, Gabriele Ghiandoni, Francesco Scarabicchi, Gilberto severini, Claudio Piersanti, Eugenio de Signoribus, Angelo Ferracuti, Clio Pizzingrilli, che oggi pubblicano, senza muovere un passo da casa, presso Einaudi, Garzanti, feltrinelli, Guanda oppure, a piacere, nelle squisite stamperie domestiche, da Quodlibet (Macerata) a Il lavoro editoriale e peQuod (Ancona). Ma è il caso pure degli artisti figurativi e plastici, dove l’eredità artigianale di un Valeriano Trebbiani può convivere coi segni teneramente spigolosi di Ezio Bartocci e, insieme, con l’immaginario di Enzo Cucchi, ai limiti del sulfureo e dell’imprendibile.                                                       Per parte sua, la musica nelle Marche è, fin dal settecento, il prodotto della rendita fondiaria dei cosiddetti “centri urbani murati” (dispersi a costellazione su un territorio dove vive poco più di un milione di abitanti) col reticolo di teatri (piccole e medie dimensioni, alcuni addirittura “condominiali”) che non ha riscontro altrove. Ciò non significa, tuttavia, che il passaggio di fase tra gli anni Settanta e Ottanta abbia qui ignorato la musica. Né deve ingannare la vocazione filologica delle imprese di lungo periodo, volte a conservare e a valorizzare il patrimonio classico, tipo il Rossigni Opera Festival di Pesaro. L’impronta militante si rivela, ad esempio, in due casi diametrali: Stefano Scodanibbio, di Pollenza, raffinato prosecutore di Berio e Stockhausen, confrontatosi di recente con le partiture poetiche di Vittorio Reta ed Edoardo Sanguineti; il gruppo dei Gang, dei fratelli Severini di Filottrano che, muovendo dall’esempio meteoritico dei Clash, hanno contaminato l’acustica rock con l’intransigenza dell’antagonismo etico-politico. Al centro ideale della topografia, e alla stregua del fenomeno musicalmente più rilevante, La Macina, gruppo fondato a Monsano nel 1968 da Gastone Pietrucci (che tuttora ne è voce e leader) il cuio archetipo etnomusicale si custodisce nel volume, firmato da Pietrucci stesso, Cultura popolare marchigiana-Canti e testi tradizionali raccolti nella Vallesina (Centro Studi Jesini, 1985), un’opera che per imponenza e rigore editoriale commemora la classica raccolta del Nigra, riassumendo un corpus di oltre seicento testi divisi per aree linguistiche, dai canti di lavoro a quelli rituali di questua, dalle filastrocche agli stornelli, dalle preghiere ai motti licenziosi, alle ballate. Fisarmonica, organetto, mandolino, chitarra, triangolo, cembalo e voce sono gli strumenti de La Macina, le cui aperture al presente (vale a dire il recente confronto con Fabrizio De Andrè, Rossana Casale, Valeria Morioni, i Gang) sono come il riflesso, o la vibrazione a distanza, di una radice altrimenti inabissata. In altri termini, La Macina dà compiutezza, assecondandone l’estro, a quanto è già inciso come parola, ritmo e melodia nella coralità della memoria popolare (braccianti, “filandare”, donne incarcerate in casa) che proprio l’omologazione neocapitalista, secondo la nera profezia di Pasolini, e il mélange postmoderno, dove tutto si mescola ed infine equivale a tutto, rischierebbero di cancellare. Se ne libera un sentire e testimoniare la vita nelle sue semplici occasioni, per cui carne e spirito, sensi, cuore e cervello, si reintegrano e liberamente si offrono: il pianto d’amore, la gioia del sesso, la sofferenza di chi sta in basso e l’orgoglio di chi sta in alto, il passare delle stagioni e le croci sul calendario, ecco i temi, si direbbe il plasma etnomusicale de La Macina. Antico eppure incombente (Scataglini giurerebbe residenziale) proprio perché ricollocato nel pieno rispetto della prospettiva spaziale e temporale.                                               Ha dichiarato di recente Gastone Pietrucci: “Quando abbiamo iniziato pensavo fossimo in effetti alla fine. Tra me e Antonio Gianandrea, che raccoglieva canti nello jesino, c’era in mezzo un secolo di silenzio e di rimozione. E invece gli informatori si sono andati via via moltiplicando. […] Cantori che erano allo sbando, derisi nelle loro stesse campagne, si sono confrontati e incoraggiati, insomma si sono riconosciuti come tali e ad essi si sono uniti diversi giovani e alcune donne, che prima nei canti di questua, per esempio, non erano nemmeno pensabili. Nel mio schedario privato c’erano allora un centinaio di persone, oggi ce ne sono duemila. […] Lo dico anche se in altre regioni la situazione mi sembra meno viva rispetto a qui, dove si mantiene una radice o quella specie di ping-pong che deve stabilirsi fra cantori e informatori”. Un contatto, va aggiunto, che scansando le trappole sia del naturalismo (revival, culto reazionario delle piccole patrie) sia dell’intellettualismo (remake, fredda chirurgia digitale) riconcilia arte dotta e arte popolare dentro un equilibrio, o una pienezza di voce e suono, che può dirsi davvero umanistica".

Massimo Raffaeli,  “World Music”, n.51, Novembre Dicembre,   2001

Aggiungi commento
 

Francesco SCARABICCHI, Ancona, Teatro delle Muse, 26 Novembre 2006

PostDateIconSabato 27 Ottobre 2007 16:44 | PDF | Stampa | E-mail

“Ancona è uno spazio mentale”

Dov’è che la poesia apre un uscio alla musica? Quando la parola verticale del senso può farsi anche canzone e offrirsi, in rarissimi casi, ad una voce? Quando ha già in sé le chiavi di quell’uscio, le dosi giuste per essere altra pronuncia e scegliere un’ulteriore via popolare conservando intatta l’umiltà della sua aristocrazia. Seguendo da vicino l’itinerario che ha condotto Gastone Pietrucci e La Macina verso la poesia di Franco Scataglini mi sono accorto, ascoltando le diverse prove che venivano man mano portate a compimento, di quanta discrezione stesse nell’abito musicale, di quanto si fosse tentata, riuscendoci, una prossimità tra parola scritta e partitura, di come la composizione avesse tenuto conto dei temi e della lingua, senza scartare via di lato, senza togliere o aggiungere, senza svisare.

Da quell’universo di esistenze al ciglio, di destini persi o salvati, di screziate luci d’interno di cui si nutre la poesia di Scataglini nelle sue più acute valenze, nel suo diagramma d’oro e di buio, La Macina attinge i grani luminosi di un’esperienza che intreccia il loro lungo percorso - dentro la tradizione antica fino ad una contemporaneità bruciante, amorosa, struggente e tesa – con quello di uno fra i maggiori autori lirici del secondo Novecento che a sua volta è disceso fino alle radici lontanissime del volgare e delle origini della lingua con le trame arcaiche di una parola che si innesta dentro il corpo dell’italiano cólto e còlto nelle sue più acuminate e “semplici” forme di un lessico piano e petroso, accanto al suo “agontano”, via via raffinato al grado massimo di trasparenza, leggero e “pesante” nel calco assoluto, nella disponibilità ad aprirsi alle opportunità del senso, alle sue “possibilità” continuamente interrogate proprio là dove la vita – riattraversata e stremata fino allo spasimo – compie l’opera incarnandosi, tra paradiso e plebe. La Macina, voce e spartito, approssima quel nodo, si prova a scioglierlo nel chiarore cupo del canto, nelle dune e nelle lune che Gastone Pietrucci percorre e accende, nei precipizi e nei gorghi dove s’abbassa e trema, sulle cime di brividi e gelo incandescente, tra grazia e colpa, tra bestemmia e lamento, tra sacro e profano. Le quartine gemmate consentono, nella loro “chiusura”, passaggi e fessure da cui balenano gli squarci di bellezza e pena, di straziato candore. Da quegli squarci si sporge il canto, tocca le parole perfette, le attraversa, le accende della loro stessa luce, le restituisce al dono del mondo.

 

Francesco Scarabicchi, Dietro le quinte della tua città – Franco Scataglini – La città e il suo poeta – FAI-Fondo per l’ambiente italiano, Ancona, Teatro delle Muse, 26 novembre 2006]

Aggiungi commento
 

Francesca ALFONSI ,TG3 Marche, 21 Maggio 2001;

PostDateIconVenerdì 26 Ottobre 2007 17:00 | PDF | Stampa | E-mail

“[… ] questo eccentrico super gruppo restituisce a noi annoiati, ossigeno e la voglia di musica: mette le ali alla memoria, radici a chi dai campi o in una periferia urbana, non ha affatto intenzione di cedere, testimonia, loro sì, di una Marca chiaramente solidale[… ] Gang e Macina, miracolosa fusion tra rock e folk […]Nell’attesa dell’uscita del loro primo Cd, seguirli in questi concerti in cui loro si divertono da morire, trascinandoci tutti in un divertimento in cui riprendiamo per un po’ a volare.”

Francesca Alfonsi, TG3 Marche, 21 Maggio, 2001

Aggiungi commento
 

Ilario GALATI, MusicbOOm , Marzo, 2004

PostDateIconGiovedì 25 Ottobre 2007 17:10 | PDF | Stampa | E-mail

“Prendete i Gang,  i Clash italiani, metteteli insieme ad una delle formazioni più attive nella ricerca e nella riproposizione della musica popolare, La Macina, fateli suonare per anni insieme e come prodotto avrete questo disco. Un piacevole ibrido fatto di chitarre elettriche e di voci antiche, di passione rock e di passione politica […] Il risultato, un commovente manifesto per non dimenticare e allo stesso tempo uno dei punti più alti della musica italiana degli ultimi tempi”.

Ilario Galati, MusicbOOm, 8 Marzo 2004

Aggiungi commento
 

Marcello MAIRER ,Trentino, 9 Aprile 2004

PostDateIconGiovedì 25 Ottobre 2007 00:12 | PDF | Stampa | E-mail

“ The Gang e La Macina rock e folk insieme in una ricerca ribelle. Tra ballate e sound elettrico è nato un progetto in cui le formazioni si scambiano il loro ricco repertorio in una contaminazione del tutto inedita […]”

Marcello Mairer, Trentino, 9 Aprile 2004

Aggiungi commento
 
Altri articoli...
  • Giuseppe CAMILLETTI ,TG3 Marche, 19 Maggio 2001
  • Francesco SCARABICCHI,nostrolunedì, n. 2, Maggio 2003
  • Lucilla NICCOLINI , Corriere Adriatico , 9 Luglio, 2004
  • Giampiero DI BENEDETTO ,San Donato Milanese, Agosto 2000

<< Inizio < Prec. 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 Succ. > Fine >>

Pagina 43 di 53

feed-image

www.macina.net

Thanks Sgm Multimedia