Francesco FAVI, Silenzio, canta La Macina, Hola, Agosto 1999

"[... ] Il silenzio, poi, come modo tempo e luogo privilegiato di ascolto, di contatto, di sintonia con le "voci" che la campagna lascia ancora - ma forse non ancora per molto - trapelare dai suoi solchi: questa specie di eredità orale, di memoria parlante che l'agonizzante civiltà contadina, il nostro passato prossimo eppur così remoto, rantolando ci affida. E il silenzio, infine, come unica via possibile di decifrazione, di comprensione e di trasmissione di queste voci che hanno un loro accento, un loro volume, un loro senso, spesso del tutto inconciliabili con i nostri, a meno che non sappiamo e non vogliamo noi stessi adeguarci a loro, facendo appunto "un pò di lilenzio".
Forse, considerando tutto questo, non è a caso che il Gruppo di Ricerca e Canto Popolare "La Macina" ("l'unico autorevole portavoce di quello che è il ricchissimo patrimonio della tradizione e della cultura orale marchigiana [...] una delle formazioni italiane più importanti, qualificate, rigorose e conosciute di tutto il panorama fok internazionale) ha intitolato la sua ultima fatica discografica Silenzio, canta La Macina !: un doppio CD antologico - contenente una quarantina fra brani editi e inediti, fra vecchie e nuove versioni, fra registrazioni in studio ed esecuzioni live, fra documenti originali degli informatori e rielaborazioni del gruppo, fra omaggi e partecipazioni straordinarie (sopra tutte quella di Valeria Moriconi) - col quale il complesso festeggia, anzi "canta" (come recita il sottotitolo) "trent'anni della sua storia: 1968-1998"; un prezioso amarcord, presentato tra l'altro lo scorso 18 giugno al Teatro Pergolesi di Jesi, in un lungo entusiasmante applauditissimo concerto.                                                                                    

E forse non è per un semplice vezzo che Gastone Pietrucci (storico fondatore e leader carismatico del gruppo, nonchè uno fra i maggiori ricercatori e studiosi di cultura popolare della nostra regione) non perde quasi mai occasione, durante le pur esplosive e trascinanti esibizioni della "Macina", per raccomandare - talora con burbero ma bonario dispotismo - al pubblico presente di osservare un rispettoso silenzio, e ai genitori dei bambini distratti e rumorosi di "andare a ninnarli da un'altra parte". Nè un caso, nè un vezzo.
 Se "La Macina" ci chiede il silenzio per cantare, è perchè essa stessa, prima di cantare e per poter a giusto titolo cantare, lo ha già fatto: lo ha dovuto, lo ha voluto fare. Da almeno tremt'anni.
Ogni tanto [...] Gastone rammentando i propri "errori di gioventù" e ironizzando sull'invadenza con cui oggi molti nuovi o improvvisati ricercatori "violentano" le loro fonti - ha narrato di come raccogliere canti tra le colline e la valle dell'Esino gli abbia richiesto, imposto, insegnato una (sempre più) larga dose di umiltà, di rispetto, di "amore" per la sua, per la nostra gente, i nostri vecchi: per le loro voci fioche e incerte, per i loro ricordi vacillanti, per le loro - talvolta volontarie, "capricciose" - amnesie. Numerosi documenti fonografici e fotografici - spesso esibiti, o meglio "evocati" nei dischi e nei concerti della "Macina", in una atmosfera "medianica" più che "mediatica", quasi in stato di trance - attestano di questo suo frugare, pazientare, e soprattutto tacere dinanzi a quell'enciclopedia vivente che è ogni anziano informatore (contadino o "filandara" che sia), in cui non solo un canto finora sconosciuto o una inconsueta variante, ma anche un'interruzione, un'omissione, una dimenticanza, e persino una particolare inflessione dialettale o un sorriso o una ruga possono contenere e tramandare un sapere secolare, una ricchezza inestimabile, che irrimediabilmente scomparirà con questi ultimi, sempre più rari e perciò sempre più preziosi, testimoni di un mondo che non esiste più.
Per "La Macina" vale più che mai l'epilogo-apologo felliniano: la salvezza è nel ricordo. Davvero tra ricordare e vivere quasi non c'è differenza: ricordare è (far) vivere; è tacere, ascoltare, interiorizzare (nel cuore prim'ancora che nella mente, come ci suggerisce l'etimo dello stesso verbo ri-cordare); è
salvare. Solo così "qualcosa potremo capire" [...]
[...]  A buon diritto Gastone, Marco, Michele, Roberto e Roberto, che - testuali parole di Moni Ovadia - "sono
con lui sulle radici"
e che, come lui, ne traggono linfa vitale per mettere rami foglie fiori e frutti sempre nuovi, potrebbero (come Benigni nella Voce della luna) uscire in un entusiastico, poetico slancio infantile: "Nonna, lo sai che stamattina sono diventato un pioppo?!".
Fare, o meglio "essere" ricercatore (e cantore) è un'arte, un carisma simile a quello del rabdomante, che con la sua bacchetta forcuta va in cerca di acque metalli e tesori nascosti chissà dove; o a quello della levatrice, le cui mani sanno far partorire, sanno far nascere (ed ogni volta è un pò come se anche lei partorisce e nascesse) [...] Non per niente Gastone parla dei dieci dischi della "Macina" come di dieci figli.
Ma quanti figli in realtà, quanti tesori - nel "silenzio dei campi" e con l'umiltà e scrupolosità e soprattutto passione della ricerca (quella passione che è lievito perchè un "sogno" come quello della "Macina" cresca ogni anno, ogni giorno di più) - sono stati attinti ai pozzi della memoria contadina e restituiti all'aria alla luce e alla gente, tra la gente, dalle voci e dagli strumenti così vibranti scabri ed essenziali del gruppo, in una pressocchè assoluta (ma non pedissequa) fedeltà ai modelli: canti satirici e licenziosi, popolari di procaci Catarinelle, di invitanti Mariuccine, e di frati vogliosi e "birbi" le cui penitenze - (non) si sa come - arrivano alle ragazze puntualmente nove mesi dopo la fatidica "confessione"; stornelli sul ritmo irresistibile del saltarello, autentico , gioioso portabandiera della musica popolare marchigiana, con le sue corpose sanguigne ma mai oscene metafore e perifrasi sessuali [...]; struggenti ballate d'amore, come la lacerata e lacerante Angelo che me l'hai ferito 'l core...; canti rituali e di questua dal contagioso buonumore, come La Pasquella e il Cantamaggio; intensissimi canti religiosi e devozionali, al cui confronto l'insipido repertorio eseguito oggi nelle chiese sembra avere "il cappio al collo"; canti a dispetto e "a vatocco", nei quali le Marche hanno le loro voci [...] "bulgare"; canti dolorosi sull'emigrazione o di velata protesta sociale, anti-maschilista e anti-padronale (specie nel folto canzoniere delle "filandare" jesine); canti iterativi ed enumerativi, come la famelica Cena della sposa [...]; canti per l'infanzia (conte, favolette, ninnenanne, scioglilingua e filastrocche), dove non servono certo purghe alla - tutt'altro che stitica - Cioetta cioetta, e dove, per L'anatra come per gli altri animali dell'aia e del "mercà", " il culo è culo"; canti narrativi ed antiche leggende e saghe popolari (coi loro inestricabili nodi di viaggio e guerra, amore e morte), mirabilmente e variamente "gemellati" oltre Appennino, oltre il Po, oltralpe, oltremare e finanche oltreoceano[... ] Ciò che ne risulta è una specie di movimentato, coloratissimo museo d'arte povera: un museo vivo, però, in cui la vita vive proprio nella consapevole contiguità della morte, la gioia gioisce perchè non ignora la sofferenza, il divertimento diverte perchè presuppone la fatica. Le opere e i giorni nei campi, si sa, sono regolati dai cicli stagionali, dall'alternanza [...]quella stessa semplice (ma non semplicistica) alternanza che - fra strofa e ritornello, fa "a solo" e coralità, fra Do maggiore e Sol maggiore - fonda e caratterizza la musica popolare; ed è proprio in un'alternanza (che non significa meccanico avvicendarsi, bensì dinamica compresenza) tra serietà e gioco, tra censura e licenza, tra dolore e piacere, tra anima e copro, tra ragione e passione, che questo mondo (ri)trova la sua pienezza. Solo così "La Macina" gira. Solo allora "La Macina" può fare rumore: un rumore festoso, che dopo ogni concerto ci mandaa casa più felici; un rumore che non contraddice, non tradisce, ma al contrario esalta e fa letteralmente cantare il Silenzio che le ha portato, come tanti chicchi da macinare, tutte quelle "voci"[...]voci strappate al tempo e rubate all'oblio, così come si ruba all'amata un "bacìn d'amore": magari in campagna, magari d'estate, magari in una notte di luna piena, nel (complice, galeotto) "silenzio dei campi" e della volta celeste, perchè - come dice uno dei canti più belli della "Macina" (La pesca dell'anello) - "la luna, le stelle la spia no' la fa"."

Francesco Favi, Silenzio, canta La Macina!, Hola, Agfosto 1999