Mario DE MICHELI, dalla prefazione a "Marinaio che vai per acqua…", 1988

C’ è stato un momento, intorno agli anni Sessanta, in cui l’interesse per il canto popolare era diventato un diffuso motivo di studio e una spinta generosa a praticarlo, a farlo conoscere e amare. Uscivano dischi, si pubblicavano libri, sorgevano corali, si organizzavano spettacoli, si scoprivano nuovi talenti e la televisione ne ospitava volentieri le manifestazioni. Ora non pare che sia più così. Quel fervore attivo e creativo sembra ormai lontano. Che sia stato dunque soltanto una moda?     

Non credo proprio, anche se ragioni effimere non mancarono di confluirvi, magari di moda politica o sociologica. Ma che non lo sia stato ce lo dicono la persistenza e la resistenza delle iniziative che intorno al canto popolare, anche in una situazione più difficile come l’odierna, continuano ad essere prese e seguite. Forse non c’è più l’euforia delle prime scoperte, la risonanza di un tempo o anche la fortuna di certi spettacoli, ma c’è tuttavia, a mio avviso, una maggiore ostinazione di conoscenza, una più documentata esplorazione dei valori e soprattutto una più sicura interpretazione dei testi e dei modi musicali.                             Un esempio di ciò è senz’altro quello fornito dal Gruppo di canto popolare “La Macina”, che ormai da oltre un decennio sta conducendo un lavoro di rilievo nell’area unbro-marchigiana, con particolare attenzione nell’Anconetano. Si tratta di un gruppo che si muove sulla scia di una prima, approfondita indagine svolta qualche anno fa da Gastone Pietrucci intorno al “materiale” folk rinvenuto sul campo o recuperato in pagine rare o dimenticate, un’indagine che tuttavia è proseguita e prosegue con ulteriori acquisizioni.                                                    Pietrucci stesso fa parte del Gruppo, insieme con Amoreno Martellini, Emma Montanari, Claudio Ospici, Giuseppe Ospici, Piergiorgio Parasecoli e Massimo Raffaeli: sette voci di timbro schietto, di sonorità forte ed evidente. E’ questo che dà particolare qualità espressiva al loro canto, che non è mai estetizzante o infedele, bensì sempre aderente ai temi, ai ritmi nitidi delle composizioni, alla loro struttura musicale. Nel loro canto c’è sempre infatti un piglio diretto, di viva partecipazione, che nasce dalla coscienza della tradizione studiata e amata e ritrovata nell’eco di una storia ancora viva nelle campagne, nella memoria orale dei superstiti, dei figli dei figli, cioè nelle tracce profonde di una realtà che, seppur mutata, le conserva nelle sue pieghe segrete, nei suoi risvolti più reconditi.                            Ma ciò che più conta è il fatto che la ricerca del Gruppo e il loro canto non si riducono ad una pura operazione di archeologia culturale e neppure a un semplice presupposto nostalgico di un passato in qualche modo più innocente e migliore. Il loro sforzo va senz’altro oltre, poiché nasce dalla convinzione che i valori della civiltà contadina, così brutalmente avversati e distrutti dall’avvento industriale, sono valori preziosi, non solo da recuperare sul piano amorevole dello studio, bensì tali da riportare e far agire anche nella società presente come il segno di una irrinunciabile eredità umana che non può andare sciupata o dispersa.                                                                                   E’ appunto questa convinzione che dà all’azione del Gruppo “La Macina” ciò che ha di speciale e che ne fa una raro esempio non flolcloristico o populista. La stessa elementarità dell’uso strumentale riconferma la verità di una simile impostazione.                                                                        Questo “Marinaio che vai per acqua…” è il loro quarto disco e s’incentra su una serie di canti di cui in molte altre regioni altri ne esistono, d’analoghi temi e variazioni sia musicali che letterarie. Ma questo è tipico del canto popolare, che si espande, è ripreso, ripetuto e reinventato in luoghi diversi, con aggiunte, sostituzioni e interpolazioni particolari. E’ la vita animata e molteplice dell’epos popolare che si rinnova in se stesso, attingendo sempre, tuttavia, alla medesima sostanza antropologica. Come, appunto, accade qui in questi canti che i sette de “La Macina” sanno eseguire con così tanta fresca e appassionata efficacia.

Mario De Micheli, dalla prefazione al disco, La Macina, Marinaio che vai per acqua..., 1988