Massimo RAFFAELI , dalla prefazione al CD, MACINA-GANG, "Nel tempo ed oltre, cantando", 2004;Francesco Scarabicchi , Il Messaggero , lunedì 1 marzo, 2004

Macina & Gang

"Che cosa tiene insieme, anzi lega in una intramatura che sembra naturale, un gruppo che interroga la matrice folclorica del proprio esser-ci e un altro che contamina la vocazione rock (l’archetipo dei Clash recepito nell’indigenza della Marca profonda) coi temi della passione politica e di una sussultante protesta libertaria? In altri termini, perché ad un certo punto di percorsi decisamente diametrali, la Macina di Gastone Pietrucci e i Gang di Marino e Sandro Severini si incontrano fino a scambiarsi sonorità, testi e voce?

Si direbbe che questo accada per una fatale convergenza di storia e geografia, cioè grazie al riconoscimento di due dimensioni adiacenti, reciprocamente pattuite, e sempre permutabili. Prima e dopo, qui e altrove, si spiazzano e nel frattempo si scambiano le parti per scoprirsi volta a volta il parziale desideroso di un totale, una metà necessariamente manchevole, una utopia (cioè il senso della vita compiuta, la pienezza dell’esperienza) che il proprio adempimento ha bisogno vicendevole di spazio e di tempo. Non a caso la parola-chiave della Macina è “radici” (il nero patema dei subalterni e degli sfruttati, i segni degli ammutoliti, nei secoli, da una dinamica di classe divenuta destino) mentre l’emblema dei Gang si riferisce alle “ali”, dunque alla prefigurazione della città futura, a un gesto di svincolo che sottragga il neoproletariato urbano alle catene e ai ceppi, spesso invisibili, su cui continua a buttare sudore e sangue, quando lo stato di cose presenti giunge a proclamarne inessenziale, addirittura inesistente, il suo essere espropriato/defraudato/alienato. Ecco sorgere il canto di questua, il lamento della malmaritata, il malinconico addio della stagionale filandara o il saltarello dirompente dentro un carnevale già ipotecato dalla quaresima, però tutti quanti tradotti nel combat-rock che esalta il vibrato vocale di Marino e la chitarra di Sandro, scoscesa e insieme lunare; ed ecco rispondere il dialetto dell’immigrato, l’urlo dell’operaio-massa, l’orgoglio o la nuda elegia del vecchio partigiano, ritrasmessi dalla partitura di Gastone, desolatamente spoglia e malinconica. Va da sé che Cecilia e Kowalsky, Monsano e Filottrano, la stazione di Bologna e il cielo sopra Bagdad, Mirafiori e Sesto San Giovanni, gli orizzonti dell’Adriatico e il reclusorio minorile del “Ferranti Aporti”, sono nient’altro se non i nomi e i luoghi d’un’umanissima e ormai atavica epopea, la stessa degli individui cancellati o rimossi, al passato, e di quelli perseguitati o emarginati, al presente. Down and out, come nel titolo di George Orwell, lì si collocano ora i referenti ora invece i destinatari della Macina e dei Gang: musica e parole per chi, letteralmente, viene buttato fuori dalla vita, per chi continua a guardarla da sotto.

Massimo Raffaeli, dalla prefazione al CD, MACINA-GANG, "Nel tempo ed oltre, cantando", 2004

                                           

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Alle Muse LA MACINA E GANG INSIEME "NEL TEMPO E OLTRE, CANTANDO" IL ROCK E LA TRADIZIONE NEL NUOVO CD PRESENTATO SABATO IN ANTEPRIMA
ANCONA - Nel tempo ed oltre, cantando  è una variante di una poesia di Alfonso Gatto, Nel tempo ed oltre, andando compresa in quel bellissimo libro del '66, La storia delle vittime . Credo che il profondo legame tra La Macina di Gastone Pietrucci, i Gang di Marino e Sandro Severini e Alfonso Gatto sia proprio, oltre il titolo del nuovo Cd presentato in anteprima nazionale sabato sera al teatro delle Muse di Ancona, nel sentimento della storia e dei vinti, in quel seguito che lungo il canale del tempo lascia i nomi perduti e salvati dalla pietà di una tradizione orale e dai versi che si incidono a memoria d’uomo per toccare il dolore e il sacrificio secondo una pronunzia apertamente politica e civile. Il concerto delle Muse dell'altra sera ha confermato che questa è la migliore stagione perchè avvenisse il miracolo di una fusione perfetta tra un gruppo di canto popolare che ha oltre 35 anni di vita pubblica e di ricerca e una banda rock che ha costruito la sua identità nel "sogno di una cosa", esule in viaggio nell'attesa del ritorno. Proprio in questa Italia perduta e "colpita al cuore" si alzano lingua e dialetto, le voci e le musiche che fondono tradizione e sonorità dolcissime ed aspre, clangore metallico ed echi antichissimi: "E' solo un sogno/che non riesco a catturare/è solo un sogno/ o qualcosa di più, in Kowalsky (1993).
Cantano alternandosi Marino e Gastone, scandiscono con il corpo i brani e le partiture, onde sinuose e passi impossibili da contare, colmando lo spazio del teatro sotto le luci calde e gelate di Allì Caracciolo, dopo l'assolo di Gastone (Le radici e le ali) a sipario tagliafuoco calato che lentamente sale rivelando i due gruppi.                                                                                  Un concerto di vibrazioni fisiche oltre che emotive, crescente, con un inizio perfino timoroso e poi una verticale e corale dilatazione di temi ed echi che scelgono l'adesione piena e senza risparmio del pubblico accompagnata dalla passione degli esecutori
: per la Macina, la chitarra, il mandolino e il canto esperti di Adriano Taborro e di Marco Gigli, la fisarmonica struggente di Roberto Picchio; per i Gang, la chitarra elettrica "maga" di Sandro Severini, la perfezione del basso di Francesco Caporaletti, della batteria di Paolo Mozzicafreddo, dell'organo e delle tastiere di Marco Tentelli.
Umanità umiliate e ferite della storia lontana e recente, dall'eccidio per mano fascista dei sette fratelli Cervi (28 dicembre 1943) alla strage di Bologna (2 agosto 1980), dalle lontane filandare jesine di E' ffinidi i bozzi boni al canto d'amore in ottava rima di Fra giorno e notte so' ventiquattr'ore, dalla neve rossa di sangue di Eurialo e Niso fino ai bis generosi che hanno contemplato fra l'altro, il bellissimo Sotto la croce Maria
e Bandito senza tempo.                                                             Anche il teatro ha finalmente abbandonato, per alcune ore, una solennità paludata accendentosi e restituendosi alla sua vocazione popolare."

Francesco Scarabicchi, Il Messaggero, 1 Marzo 2004