Massimo RAFFAELI , Il Manifesto, 5 Agosto 1998

Musica Popolare                                                                           UNO SPARTITO                                                                       PER VOCE, ANIMA                                                                       E SALTARELLO                                                                                                             

Organetto, chitarra, cembalo e voce sono i semplici strumenti del canto popolare e sono anche gli strumenti de La Macina , il gruppo marchigiano che compie trenta anni esatti di attività e cui è monograficamente dedicata la tredicesima edizione del "Monsano Folk Festival" (Rassegna internazionale di musica popolare originale e di revival) che prende il via domani. Il fondatore,l'anima e la voce solista del gruppo (scandita per lo più sulle cadenze frenetiche del saltarello e del canto a batocco) è Gastone Pietrucci , il cui lavoro di filologo e folclorista è consegnato ad un volume ormai classico nel settore (Cultura Popolare Marchigiana - Canti e testi tradizionali raccolti nella Vallesina, 1985) la cui messa a punto precede virtualmente la nascita del gruppo stesso e ne costituisce il repertorio: con l'apporto vivo di decine di informatori, esso riassume un corpus di oltre seicento testi divisi per aree linguistiche e motivi, dai canti di lavoro ai canti rituali di questua, dalle filastrocche agli stornelli, dalle preghiere ai motti licenziosi. Sui temi del canto popolare, Pietrucci ha accettato di risondere ad alcune domande.                                                                                       

        "La Macina"  è nata quando Pasolini denunciava  la    scomparsa, anzi il genocidio, della società rurale e artigianale...                                                                                Nel momento in cui lui ne vedeva la fine io, stranamente, ho coninciato a scoprire una civiltà di cui non sapevo nulla. Nel '64 ho visto per caso  uno spettacolo straordinario del "Canzoniere Italiano", Bella ciao  di Roberto Leydi, con Giovanna Marini, Michele Straniero, Caterina Bueno ed altri, sui temi della civiltà popolare , come la morte, il lavoro, la guerra, l'amore. E lì che fece scandalo una canzone, O  Gorizia tu sei maledetta, di cui parlarono tanto i giornali : stavo dando gli esami di stato e fu come una folgorazione, perchè sentivo finalmente parlare e cantare un'altr'Italia, che non conoscevo anche se ero figlio di una sarta e di un muratore. Quello spettacolo mi ha aperto una prospettiva, e infatti all'università ho scritto poi una tesi sui canti e sulle tradizioni popolari della Vallesina. Paradossalmente è stata quai una fortuna che non conoscessi invece quei versi di Pasolini che dicono Io sono una forza del passato/ Solo nella tradizione è il mio amore , bellissimi e tremendi.                       Così per alcuni anni ho lavorato e ricercato da solo: la ricerca è molto delicata quando vai in ambente contadino e incontri persone diffidenti, timorose, mentre tu sei incosciente e impreparato. Ma ho avuto la fortuna di incontrare presto un vero informatore, Pietro Bolletta di Monsano, purtroppo scomparso, che mi aspettava nella cucina della sua casa con appena qualche foglio di appunti, ed era capace di andare avanti a memoria, per ore.  Però ero ancora convinto che "popolare" fosse solo la poesia lombarda e piemontese; naturalmente mi sbagliavo, anche se è vero che i primi anni del gruppo sono stati prevalentemente il ricalco di altre esperienze : La Macina (il nome viene da un mulino di qui, dove c'era appunto una macina abbandonata, enorme, di marmo, per il grano e l'olive, dove da piccoli si giocava a nascondersi  ) è nata sul serio con la progressiva consapevolezza di una autonomia linguistica e testuale.                                                                                Esistono ancora fonti vive? O meglio: ci sono ancora margini di ricerca o ci si trova di fronte ad un "corpus" defintivamente chiuso?                                                                       Quando abbiamo iniziato pensavo fossimo in effetti alla fine. Tra me e Antonio Gianandrea , che raccoglieva canti nello jesino, c'era in mezzo un secolo di silenzio e di rimozione. E invece gli informatori si sono venuti via via moltiplicando, anche grazie alle rassegne annuali sul canto di questua e del Festival di Monsano. Cantori che erano allo sbando, derisi nelle loro stesse campagne, si sono confrontati ed incoraggiati, insomma si sono riconosciuti come tali, e ad essi si sono uniti diversi giovani e alcune donne, che prima, nei canti di questua per esempio, non erano nemmeno pensabili. Nel mio schedario privato c'erano allora un centinaio di persone, oggi ce ne sono duemila. Non so cosa accadrà fra altri trent'anni, intanto però cantano, suonano, ricordano. Lo dico anche se in altre regioni la situazione mi sembra meno viva rispetto a qui, dove si mantiene una radice, o quella specie di ping-pong che deve stabilirsi fra cantori e informatori.                                                                                   A proposito, i vostri testi risultano negli anni sempre più raffinatamente arrangiati. E' così?                                           Sì, ma a patto di ricordare che noi non produciamo ma semplicemente trasmettiamo parole e musica. Dipende anche dal continuo allargarsi del repertorio, che va da quello, tutto ruspante delle campagne di Monsano a quello già urbanizzato di jesi e delle sue lavoratrici "filandare". Infatti il disco che presentiamo al festival di quest'anno - Je se vedea le porte dell'affanno... - di canti satrici e licenziosi, farà pensare a qualcuno che siamo tornati indietro... Il fatto è che intorno a me sono cambiati e cambiano di continuo i musicisti; in trenta anni più di una ventina, e ognuno, a modo suo, ha fatto nuovo il gruppo.                                                                                      Nel trentennale, se la sente di fornire un bilancio?                Lo dico, con evidente paradosso, La Macina sono io: ciò mi mette al riparo dalla paura dei mutamenti e degli avvicendamenti, e del resto a me piace suonare e cantare semplicemente con "chi c'è" . Ho cinquantasei anni e mi trovo adesso vicino a strumentisti giovanissimi, è una cosa stupenda, che mi fa andare avanti nella ricerca e nella riproposta.       Come sono cambiati nel tempo l'interesse e la partecipazione del pubblico?                                                                L'interesse è aumentato pian piano e senza alcun aiuto dei media, la cui indifferenza per le culture popolari rimane peraltro criminale. Si tratta di un pubblico attento, fedele, persino fiducioso, di età e di estrazione differenziata. Colpisce, in particolare, l'attenzione di certi giovani che, ad esempio, non hanno mai avuto la possibilità di ascoltare, fra tanta musica insignificante che viene trasmessa, una ballata antica e sublime come Il marito giustiziere, o un canto d'amore come Angelo che me l'hai ferito 'l core... Si tratta comunque di un pubblico vero, motivato, anche se di poche migliaia di persone.                     Nel mondo della cosiddetta "Mcjaad", connubio di globalizzazione e localismo , non c'è qualche rischio di confondersi con chi torna a cantare "sangue  suolo"?                                                                                    Non credo, anche se confesso che è un problema che non mi sono mai posto. Per sua natura la musica popolare eccede il limite e ogni chiusura, sia nell'ordine della trasmissione sia nell'ambito del piacere ricettivo. E' suono, ritmo, è autentico fascino formale. Di recente ci è capitato di eseguire in Svezia e in Portogallo, Colomba Marì, una canzone tutta giocata su un equivoco linguistico intraducibile, eppure le persone presenti erano prese , si lasciavano andare, cantavano e ballavano. del resto, ed è ovvio, nulla è più universale della canto popolare.                                                                        Un'ultima domanda: come si articola il Festival di quest'anno?                                                                               Non è è né vuole essere una autocelebrazione. Semmai è una ricognizione di tutto il nostro repertorio, con tanti ospiti italiani e stranieri, che ci accompagneranno, e tra questi Valeria Moriconi nell'omaggio finale al grande folclorista ottocentesco Antonio Gianandrea. Una prova dura, durissima, ma anche una salutare sfida alle risorse di cui disponiamo.   

Massimo Raffaeli, il Manifesto, mercoledì 5 Agosto 1998

 

 

MONSANO FOLK FESTIVAL

SILENZIO IN PIAZZA,                                                           CANTA LA MACINA                        

Il  XIII Festival, dedicato al trentennale de "La Macina" , si apre domani 6 agosto: ore 22 (Piazza dei Caduti) "Silenzio, canta La Macina!"; ore 0,30 (via Rastelli) Mireille Ben, Sara Modigliani , Emma Montanari, Laura Parodi, Donata Pinti e Luisa Poggi in "Le voci dell'anima". La donna nella musica popolare. Venerdì 7 agosto: ore 22 (Piazza dei Caduti) "Statevi zzitti che adesso 'ncomincia..." (Materiali di fiabe marchigiane in forma di concerto); ore 01 (Chiesa SS. sacramento) "Concerto per Adelaide". sabato 8 agosto: ore 12 (Chiesa SS. Sacramento) "Il cavalier crudele" (sulla ballata de "Il marito giustiziere"); ore 22 (Piazzetta Matteotti) "Je se veda le prte dell'affanno..." (canti satirici e licenziosi della cultura orale marchigiana). Domenica 9 agosto: ore 12 (Chiesa degli Aròli) "La Macina canta Dodi Moscati"; ore 18 Coro "La Fonte " di Ortezzano; ore 23 (Piazza dei Caduti) "Concerto Grosso per Gianadrea", con La Macina & Valeria Moriconi